pier91 8½ / 10 27/09/2011 22:07:40 » Rispondi L'aforisma è forse la forma d'espressione più affine agli avari di parole, ai timidi, coloro che "notano tutto ma sono molto bravi a non farsene accorgere". Quello di Titta Di Girolamo, voce esausta alla fine di ogni frase, è un linguaggio scarnificato ma sferzante, un linguaggio che impone il silenzio. Il contegno impenetrabile del personaggio è del tutto conforme all'ambiente circostante, una Svizzera se vogliamo stereotipata nel suo rigore architettonico. La regia si adegua a questa perfezione apparente, è minimale, levigata. Eppure lo sguardo di Sorrentino non è rigido ma camaleontico, partecipa all'evoluzione intima di Titta, trasfigura insieme alle sue azioni, prima asettiche e prestabilite, poi estemporanee e sovversive. Man mano che i segreti si schiudono davanti allo spettatore, l'enfasi delle inquadrature aumenta e la musica irrompe con più forza sulle immagini. Le conseguenze dell'amore, amore per una donna ma non solo, capovolgono una vita intrappolata nell'indolenza forzata, una vita che non si concede nemmeno la tregua del sonno. Il prezzo del cambiamento è prevedibilmente altissimo. Ma
la morte accorda a Titta l'opportunità di risvegliare dal torpore la propria audacia, di riscattare l'ultimo avanzo di libertà. Del resto, "ci vuole molto coraggio per morire in modo rocambolesco".