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GLI ABBRACCI SPEZZATI regia di Pedro Almodovar

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Crimson     7 / 10  18/11/2009 22:51:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Credo che qualsiasi accanito sostenitore di Almodovar apprezzi anche i momenti più controversi del cinema del regista spagnolo, perchè tutti i suoi film, anche i meno brillanti (come questo), lasciano sempre qualcosa: una perla che ti resta dentro (cfr. Marisa Paredes ne 'il fiore del mio segreto' sui paradossi della vita), la perizia della narrazione, sequenze in cui ritrovare il "sottosuolo" della vita.
Dalla sala si esce quasi commossi, per l'omaggio alla sua miglior commedia (il finale ma anche la Cruz-Maura che taglia, piangendo, i pomodori per il gazpacho che imbottirà di tranquillanti) e le altre autocitazioni (talvolta velate) che si rincorrono: da Ernesto Jr.-Andrea ('Kika') ossessionato dall'atto del cogliere la vita (ALTRUI, per la difficoltà di vivere che la sua omosessualità e la trascuratezza del padre comportano) con la sua telecamera inseparabile, alla trasformazione della propria identità tra le pieghe di un trauma e la trasfigurazione degli affetti profondi (uno dei contenuti-chiave del cinema di Almodovar, fin da quella pietra miliare chiamata 'la legge del desiderio').
Penso che Almodovar citi il suo cinema senza scadere nell'autocompiacimento, e questo è un aspetto che approvo. Ciò introduce al tentativo di metacinema, che è il motore invisibile che muove i fili di questo diciassettesimo lungometraggio (considerando 'Pepi...' come debutto cinematografico): giunge per Almodovar il momento dell' '8 1/2' (tra l'altro citato in una scena al pari della Bergman, di 'Ossessione', della Moreau e il meraviglioso 'Ascensore per il patibolo' di Malle, 'Fanny & Alexander', Fritz Lang e altri ancora che ora non mi sovvengono). Paragone da prendere con le dovute distanze, sia per la sua stessa natura che per lo spessore, naturalmente incomparabile. Non è il film-nel-film scevro di significato se non squisitamente narrativo di 'Legami', è un azzardo più profondo, ma solo in parte riuscito. Almodovar interseca la stessa passione per cinema e vita del suo protagonista vedente-non vedente dopo un trauma (autentica metafora, che lo scrivo a fare). La rielaborazione: il protagonista raccontando a Diego si libera da orpelli perseverati per oltre un decennio; Almodovar raccontando al suo spettatore un meticoloso riarrangiamento globale di alcune delle sue tematiche cruciali si libera di qualcosa che compete forse solo a lui, una sorta di "ora che ho perso la vista ci vedo di più" (non Tornatore, direi piuttosto 'Take the time', anche se non c'entra una mazza). E' vero, un film al di là del fatto che la trama si regga o meno può passare comunque significati molto profondi. Ma il problema de 'gli abbracci spezzati', e in questo caso anche dello svisceramento di materia pulsante su cui poter riflettere accuratamente, è che ad un'ottima prima parte ricca di suspance e piglio si contrapponga una seconda meno riuscita in cui si smorza la capacità introspettiva a causa di colpi ad effetto alquanto forzati (tanto criticato l'esercizio di stile di 'kika', quando Almodovar in realtà ha osato incastri meno avvincenti, a mio avviso). Perdòno, labilità delle azioni o meglio la loro insindacabilità (o presunta tale, bisogna anche valutare accuratamente i pensieri che li muovono), il riflesso del trauma nel fluire dell'esistenza o, per contro, il significato autentico dell'elaborazione del lutto: temi cari al regista, che nel manipolo di autocitazioni e i livelli di finzione e realtà di cui il film si nutre affiorano, ma in modo stilizzato o smussato (Ernesto travolto dalla passione, Lena che prima si lega ad un uomo "per convenienza", successivamente in modo autentico -?-).
Come misurare la passione? Almodovar ha raccontato meglio e con più ardore questo tema, attraverso storie e personaggi più veri e meno artefatti ('la legge del desiderio', in parte lo stesso 'matador', che col tempo ho apprezzato sempre più).
E' difficile elaborare aggettivi per la Cruz, sarei banale.
Alla fine è comunque sempre un grande Almodovar. Straordinarie le sue muse (ops m'è sfuggito un aggettivo), meno i personaggi maschili.
Lola Dueñas è una grandissima "lettrice di labiale"; grande, grandissima L'IMMANCABILE, eterna Chus Lampreave ("tu dici LOVE, io dico sesso!"). Cammeo nostalgico, vent'anni dopo, anche per l'altra quasi-immancabile Rossy de Palma.