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THIRST regia di Chan-wook Park

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ilSimo81     8 / 10  07/02/2012 14:07:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Odio i film sui vampiri.
Non sopporto il sistematico ripetersi delle solite componenti: la sete di sangue, l'offrire il proprio polso, l'aglio, i crocifissi, gli specchi che non riflettono, la luce del sole, il rafforzamento dei cinque sensi e bla bla bla. Ingredienti di un minestrone che, per quanto mescolato, non cambia sapore. Anzi, reso se possibile ancor più amaro dalle derive "teen" di quest'ultimo decennio, dove vampiri adolescenti dai fisici perfetti incarnano lo spirito di eroi romantici. Tzé.

"Thirst" è diverso.
Attenzione, non nascondiamoci dietro alla provenienza coreana e al nome di Park: il suo vampiro è essenzialmente riconducibile al modello classico occidentale, quindi anche qui ritroveremo alcuni degli ingredienti di cui sopra.
Quel che cambia è il modo di dipingerlo. La discriminante sta proprio nel concetto di "thirst", "sete", che sottolinea non quello che si ha, ma quello che manca. Il vampiro di Park si muove animato dalla "sete", dallo smanioso ed irrefrenabile desiderio di qualcosa. Secondo la parabola discendente tipica del più classico dei demoni, il prete cade dalla grazia di Dio per diventare dannato già da questa vita. Un disgraziato destinato ad inseguire il sangue e il sesso, le più carnali tra le soddisfazioni nonchè le più effimere.

Lungi dall'essere un super-uomo che accetta la propria condizione, questo vampiro sembra estremamente umano, nella sua lotta interiore per non farsi sopraffare dal male. Sullo sfondo di questo conflitto, domande esistenziali: come cambiano ora i concetti di amore, speranza e vita?

Park è magistrale nel raccontare la perversa relazione tra il sacerdote e la donna, sapendo sfumare i toni a seconda delle scene, dall'umanamente drammatico a una grottesca leggerezza. Ambivalenze che si ripercuotono anche nell'uso di un'immagine a volte violenta e a volte delicata, a volte sanguinaria e a volte romantica.
"Thirst" ha un lieve difetto: a volte pare specchiarsi in sé stesso, e certe scene finiscono per sembrare troppo diluite, rendendo obiettivamente eccessiva la durata. Difetto che comunque non condiziona affatto la bellezza della storia e un finale straordinario.
Solito plauso, quindi, al geniale Park, che come pochi altri è al contempo un poeta che parla di orrore e un tragico che profuma di poesia.