caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

IL SOGNO DELLA FARFALLA regia di Marco Bellocchio

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento Elly=)     8½ / 10  18/03/2012 15:25:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Vorrei iniziare, questa volta, dal finale. Un finale che racchiude tutto quello che Belloccio con IL SOGNO DELLA FARFALLA voleva esprimere. Vediamo sola la madre con lo sguardo perso nel vuoto e sentiamo pronunciare dalla sua bocca un soliloquio teatrale-letterario, e mentre la macchina da presa va all'indietro scopriamo gli altri personaggi e il suo soliloquio diventa un monologo, li troviamo lì, chi seduto chi disteso, immobili, fermi, in silenzio, in sottofondo solo il rumore delle onde del mare, intorno a loro, mimetizzati grazie al colore dei costumi, una distesa e una collina di sassi e di sabbia bianca.

Il regista sembra rifarsi al cinema russo di Tarkovskij o Dovzenko: il ritmo lento, i pochi dialoghi, le inquadrature eccessivamente lunghe, i silenzi, le pause o le soffermazioni filosofiche dalla durata prolungata più del necessario, la colonna sonora praticamente inesistente, rara, ci sono più sincronizzazioni di suoni che inserimenti di melodie, con l'aggiunta di una scelta stilistica richiamante il cinema degli anni '10 dove la mdp rimane ferma in campo totale e non c'è l'uso dei primi piani. Un peccato visto l'eccellente cast che poteva solo regalare emozioni più forti se guardate con la lente d'ingrandimento. Ma forse la mia è solo malinconia per una cosa che non esiste più: quando gli attori italiani ti davano scosse febbrili grazie alle loro realistiche interpretazioni, quando non recitavano con volti da fiction, ma quando ci mettevano il cuore e l'anima per essere fino in fondo il proprio personaggio, ma in fondo chi poteva sapere che 10 anni più tardi, neanche, l'Italia, il cinema italiano si sarebbe rovinato con le sue stesse mani e invece di attori ci saremmo ritrovati un branco di incompetenti raccomandati.

Una cosa interessante di questo film mai vista prima nella storia del cinema è l'entrata in scena dei personaggi e di come il regista in modo paterno si prenda gioco dello spettatore. La maggior parte delle scene inizia con un campo totale che riprende il gesto (si pensa quotidiano) di uno dei personaggi inquadrati mentre è in atto una discussione su un qualcosa che si ricollega cmq al tema principale, discussioni che sembrano essere uscite da un qualche romanzo, o da una piéce teatrale, poi tramite l'uso di un montaggio accurato fa vedere a chi guarda che in realtà attorno a loro c'è la presenza di altri personaggi che finora erano stati zitti, non s'erano visti, nascosti nel buio. Un buio che al contrario si fa sentire e che va a consolidare l'effetto di claustrofobia che si ha con questo film. Una fotografia buia che usa solo luci naturali, interne al film e che non rovina affatto la composizione scenica. Gli ambienti contrariamente ci appaiono famigliari, non solo grazie alla marcata rappresentazione di gesti quotidiani che vengono rappresentati all'interno di essi, ma il ruolo di archetipo che essi assumono, come l'ambiente della cucina che diventa il luogo del ritorno dopo il viaggio o il sito archeologico che è il luogo dove si scava e che si ricollega direttamente alla ricerca interna del protagonista e non per niente il viaggio si conclude proprio li. Per non dimenticare che l'immagine della quotidianità rispecchia la difficoltà dei genitori di affrontare la diversità.
Il rapporto tra genitore e figlio è un tema molto caro a Bellocchio, ma il tema principale non è la situazione familiare di conflitto ma bensì dedica particolare attenzione al raccontare una storia che tramite la forza visiva regala un lungo pensiero sul silenzio psicanalitico e sull'attenzione che dobbiamo porre all'ascolto.
Qui i genitori non capiscono la scelta del figlio di rimanere in silenzio, muto, ed egli, incompreso, non risponde al dibattito genitoriale e lo scontro sembra perdersi nel vuoto. Un figlio che, come descrive il titolo del film, è una farfalla, che durante la metamorfosi da bruco in essa ha elaborato una diversa concezione di vita che lo ha travolto emotivamente tanto da fargli decidere che il silenzio, ora come ora, è la strada giusta da percorrere. Ma la farfalla non è veramente libera di volare, e decide di strapparsi con tutte le sue forze le catene di dosso, scappando in una fuga d'amore che a momenti pare stabile e in altri sembra essere solo un impiego temporaneo. L'unica che sembra veramente capirlo è la vecchietta solitaria che contrariamente a tutti gli altri, lei è la sola a non volerlo far parlare. Una vecchietta che diventa anche la chiave che va a contrapporsi con il personaggio simbolo della nonna che rappresenta il mondo passato delle favole e della incombente realtà che spezza il mondo magico delle storielle che lei stessa raccontava..Con la vecchietta avviene l'incontro decisivo che farà ritornare il nostro protagonista a casa, chiudendo il cerchio della ricerca dell'affermazione esistenziale. Il negativismo, il cinismo, il surrealismo sono l'insieme di un discorso razionale che sottolinea la contrapposizione emotiva.