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AGORA' regia di Alejandro Amenabar

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jack_torrence     7 / 10  28/04/2010 16:58:10 » Rispondi
Quanto piccole, e meschine, le beghe politiche che portano gli uomini a trucidarsi a vicenda! Un'inquadratura di "Agorà" si apre sul dettaglio di un formicaio; poco dopo, una plongèe su di una piazza ci mostra le persone muoversi (accelerate) proprio come formiche impazzite.
Ho trovato molto belle le inquadrature dall'alto, i dolly smisurati e addirittura cosmici, a suggerire l'immensa distanza tra le meschine beghe degli umani, e l'armonia dei corpi celesti: quell'armonia che tanto fascino esercita su Ipazia.
E non ci sono solo dolly o zoomate smisurate, ma anche un frequente interrogare il cielo, le stelle, da parte della macchina da presa, proprio come gli occhi di Ipazia scrutano ripetutamente verso l'alto, nei misteri del cosmo.
Questa è la più significativa (e davvero bella) specificità stilistica del film.

Ho letto da più parti che tra i detrattori del film vi è chi lo considera povero di pathos. Trovo invece che il film, sia pur ricorrendo a canoni visivi da kolossal contemporaneo, e con uno stile dunque da blockbuster commerciale (ma tecnicamente di ottima fattura), compia un piccolo miracolo nel riuscire ad appassionare e insieme far riflettere sul risvolto di fondo: ossia come le meschine logiche della politica rendano aberrante il rapporto tra scienza e fede.
Che un film appassioni su questo tema prettamente intellettuale, è un piccolo miracolo, e una scommessa vinta da parte di Amenabar.
Il film dunque appassiona: anche attraverso la progressiva evoluzione delle ricerche astronomiche di Ipazia, in una messa in discussione del sistema tolemaico che avvicinerebbe Ipazia a quanto asserito poi 1200 anni più tardi da Galileo. E il parallelo è tutt'altro che casuale.

Non appassionano troppo invece le vicende "romanzate". Specie le vicende private di Ipazia (anche se il suo carisma è ben reso dall'interpretazione di Rachel Weisz) sono ridotte a un "romanzetto", se non improponibile, però di scarso appeal per lo spettatore: anche se nel rispetto, mi pare, dei fatti storici, cui gli sceneggiatori si sono attenuti con scrupolo e correttezza.
I fatti storici comunque interessano senza dubbio più dei fatti privati, che mi sembra servino più che altro da "collante" per giustificare in modo facile sviluppi storici altrimenti difficilmente traducibili in un film.

Con scrupolo e correttezza, a ben vedere, è condotta tutta la ricostruzione storica, sin dall'inizio della pellicola in cui lo spettatore non è mai sollecitato a prendere parte in causa, né in particolare a detestare i cristiani per partito preso.
"Agorà" non mi è parso una bassa operazione anticlericale, bensì una coraggiosa messinscena della turpitudine con cui la religione viene strumentalizzata, in primo luogo dalle autorità religiose, a fini di potere. Nella specie, di acquisizione di un potere sempre più assoluto.
Il film, specie all'inizio, riesce a mantenere una neutralità storica molto apprezzabile, in cui non si manca di descrivere i risvolti, e le colpe, sempre di entrambe le parti di volta in volta contrapposte.

Il film è un commovente apologo in favore della libera scienza, che si fonda (illuministicamente) sul dubbio e la messa in discussione delle autorità in campo filosofico-scientifico - un atteggiamento antitetico a quello dogmatico della fede.
Ma il conflitto tra i due atteggiamenti non sarebbe incompatibile. Però la Storia (e questo film) dimostrano come i dogmatismi di fede e l'intolleranza si presi a entrare in circolo vizioso con le lotte di potere. Ciò che ne scaturisce può essere tremendo.
E può bastare a dar inizio a oltre 10 "secoli bui": come nel caso dell'incipiente medioevo in cui le vicende narrate da "Agorà" si svolgono. Secoli bui, quelli del medioevo cristiano ("cristiano", ché negli stessi secoli del "nostro" medioevo fiorì una lussureggiante civiltà islamica), ben suggeriti dalla distruzione della preziosissima biblioteca di Alessandria.

Il cristianesimo portava con sé una radicale novità rispetto ai culti antichi: la sua vocazione universale (voluta da Paolo di Tarso, fondatore del cristianesimo) conteneva in nuce devastanti conseguenze. Nell'antichità infatti, le classi sacerdotali erano ovunque massimamente importanti, in tutte le civiltà (alla maniera in cui lo sarebbero poi state le autorità ecclesiali): l'assolutismo religioso era funzione del mantenimento del potere. Ma ciò che non esisteva, e che invece costituisce la novità "devastante" portata dal cristianesimo, era la pretesa universalità del credo religioso: che in termini di potere politico conduce a "metastasi" infinite, in un orribile assolutismo universale: il quale privò persino gli imperatori dei loro attributi divini. Se la religione si pretende una sola nel mondo conosciuto, laddove coesistono diversi sovrani, nessun sovrano può più rivendicare per sé attributi di divinità. Con la nascita del cristianesimo, le grandi civiltà smettono di avere un Dio sul trono (con l'eccezione del Papa: eccezione che non a caso costituirà motivo di tremendi conflitti con l'Imperatore, all'epoca di Dante, dei guelfi e ghibellini, della "lotta per le investiture").
Proprio all'epoca di Ipazia, il cristianesimo aveva appena trovato nelle strutture politiche dell'Impero romano in crisi il trampolino di lancio per spandersi ovunque nel Mediterraneo, e poi, nei secoli, in tutto l'occidente.
Ciò è Storia, e - a postilla - vorrei aggiungere che lo studio della Storia esige che ogni epoca sia studiata senza cadere in raffronti con l'attualità eccessivamente facili. Quantunque essi siano leciti.