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IL NASTRO BIANCO regia di Michael Haneke

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ughetto     5½ / 10  15/11/2009 00:11:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
PREMESSA. Io sono "quello della fotografia noiosa". In un commento precedente ho in effetti usato noioso come predicato ad una fotografia.
Questo ha irritato alcune persone. Rispetto la loro irritazione. Quello che voglio chiarire in questa sede è che la mia critica non è stata un errore o una leggerezza. Essa è la percisa e rigorosa conseguenza della teoria estetica che ho elaborato e sulla quale ho riflettutto a lungo durante questi anni di amore per il cinema (cioè tutti quelli della mia vita). Questa teoria estetica vuole che tutte le maestranze dell'opera cinematografica siano assoggettate ad un concetto o ad una tesi o più semplicemente ad una struttura drammatica. Se questo elemento a mio avviso apicale dell'opera viene meno, o è viziato da un male insanabile, travolge come in un domino tutto ciò che vi è sotteso. Se il pensiero è viziato la tecnica che ne ha reso possibile l'espressione diviene arida, sterile e, usando un termine colloquiale, noiosa. Questo è, in sintesi, un flash su una parte della griglia che io uso nel guardare il cinema.
Tutto ciò premesso:
COMMENTO: quando si riflette sulle significato di un'opera la prima fonte dev'essere ciò che l'autore dichiara. La prima frase recitata dalla voce fuori campo: " credo che questo racconto sia utile per capire alcune cose successe in seguito nel mio paese". Questo film non parla del nazismo, ma dell'infanzia che hanno vissuto coloro che poi vi hanno partecipato. Ed è in questa infanzia che l'autore va cercando le cause di quello che si sarebbe scatenato in seguito. Il disastro concettuale dell'opera è che il regista ha già deciso quali sono queste cause e quindi non usa la telecamera per indagare e dedurre da ciò che vede; la usa invece in modo induttivo: egli sa già cosa cerca e obbliga i personaggi ad incarnare la sua teoria storica. La telecamera non ha altra funzione che sorprendere i personaggi del film nelle loro debolezze e nelle loro tragedie umane; sulle quali pesa la terribile responsabilità di aver dato luogo alla più alta e perfetta manifestazione del male alla quale l'essere umano abbia mai assistito. Quindi essi non sono elementi di un opera in divenire, ma marionette nelle mani di un Haneke che ha già deciso qual'è il loro ruolo è qual'è la loro colpa; egli, in buona fede o meno non lo so, mettere in scena una sorta di passato mitico nel quale niente è reale, niente è indagato, niente è sfumato; ci sono solo i titanici affreschi del male che verrà o del bene che rinuncia alla sua presenza nella società. L'errore fatale è quello di aver voluto legare in una relazione direttamente proporzionale quello che è venuto prima con ciò che è seguito: dato ciò che segue è l'Orrore è l'Imponderabile è la fine del tempo ecco che la relazione diretta impone di trasferire la stessa intensità nel prima: il film è quindi condannato ad affogare, sommerso da qualcosa di inesprimibile. E' una corsa all'orrore che non finisce mai e si avvolge su se stessa.
E allora: seppur di alto livello e d'indiscussa maestria: come devo valutare la perfetta padronanza dei mezzi espressivi e il loro peculiarissimo stile? Cosa me ne faccio di un'ottima fotografia che continua a prendere celi e campi il cui destino è già segnato da una riflessione ideologica sulla storia? Cosa me ne faccio di raffinate inquadrature d'interni (per altro mirabilmente ricostruiti) quando so già per filo e per segno cosa troverò dentro le case? Ho letto nei commenti precedenti numerosi riferimenti a Bergman e Dreyer. In comune con Haneke hanno senza dubbio le suggestioni nord europee e la centralità della riflessione su dio (sovente presente nella sua negazione assoluta). Fra i tre c'è però un adifferenza. Due cercano davvero; l'altro solleva un sipario dietro al quale ha già disposto a priori dei pupazzi. E questo non può che rattristarmi e, in definitiva, annoiarmi.
Doinel  15/11/2009 17:47:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Hai un'idea del cinema piuttosto discutibile, i teoremi estetici lasciamoli alla filosofia, spesso in teoria ci si perdere in asinerie e si banalizza il mistero dell'espressione artistica. Non a caso, perdonami se lo evidenzio perchè magari potrei sbagliarmi, dalle tue valutazioni traspare un netto rifiuto rispetto a un cinema che accoglie o si avvicina alla forma di un'arte figurativa come la pittura espressionista o surrealista. Credi di aver raggiunto un teorema estetico, questo fa della tua fruizione una macchinosa e semplicistica supponenza, che rifletti chiaramente sull'induttività dello stesso autore. Ma soprattutto è quando esponi la condizione di un "pensiero viziato" che non ti avvali proprio della superiorità del fenomeno artistico alle leggi morali.
Legittimo poter esporre un'idea sull'arte, ma credo che in questo modo potresti seriamente perdere o trascurare tantissime sfumature e sottosfumature emotive che solo la settima arte grazie all'energia del montaggio e la potenza visiva può suscitare.
Riguardo all'Orrore, non credo affatto che il film predispone delle premesse in proporzione al seguito. Piuttosto, lascia lo spettatore libero di immaginare cosa si cela dietro al non visto e al non detto. La corsa all'orrore è tutto ciò che hai creato nella tua mente, è come guardare un gruppo di uomini camminare senza sapere la loro meta, nel frattempo l'angoscia esistenziale ti percuote. La realtà è che gli omicidi implorano nella nostra coscienza un capro espiatorio, il colpevole - il fine - non ha nessuna importanza per le vittime quanto per noi stessi. Questa è la cosa più grande che Haneke potesse raccontare, Bergman e Dreyer appartengono a un altro tipo di ricerca, infatti nessuno ha accostato i loro nomi a un fatto prettamente contenutistico.
ughetto  15/11/2009 19:13:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
è vero: il rischio di perdere o trascurare alcune sfumature emotive è reale. è un rischio che ho deciso di correre; tuttavia il mio "teorema" è solo una proposta, è modificabile, non vuole essere dogamtico in alcun modo, e certamente presenta criticità errori e banalità. Tuttavia non posso accettare la tua controproposta che, se ho capito, è quella di lasciare spazio al mistero dell'espressione artistica. E non posso accettarla non perchè, ci mancherebbe, la consideri sbagliata, quanto perchè credo che il riflettere e il giudicare implichi inevitabilmente la creazione, spesso a livello non razionale di un sistema; e quindi oltre che indagare l'oggetto della riflessione si deve necessariamente indagare anche la riflessione stessa e quindi il suo metodo, soprattutto quando si vuole spiegare a se stessi o agli altri il perchè di un'opinione. da qui il c.d "teorema". Per quanto riguarda l'accenno al surrealismo e all'espressionismo, io non rifiuto affatto il cinema che vi si è accostato; quando lo ha fatto nell'ambito di una ricerca estetica e secondo determinate premesse, o determinati fini o idee anzi ha dato luogo ad alcune fra le pagine da me più amate della sua storia.
E sono d'accordo che l'arte sia superiore alle leggi morali, ma strettaemente intese, e non è proprio questo il caso. E' invece il caso di un film che si da un compito ben preciso: quello di spiegare la genesi di un preciso accadimento storico. Ed è da queste premesse, esposta dall'autore stesso, che credo debba muovere necessariamente la riflessione. E con la corsa all'orrore volevo dire proprio questo: questo film non è un indagine sul male, ma è un tentaivo di giustificarlo. E qui c'è il vizio: si cerca di spiegare con un'argomentazione razionale, socio pedagogica, qualcosa che ci si rifiuta di razionalizzare, cioè il Male assoluto, nella sua più sconvolgente manifestazione storica. Questo condanna l'opera ad una rincorsa impossibile della propria tesi, soffocata dall'ansia di dover spiegare tutto; il che porta ad eventi grotteschi come la conversazione fra il medico e la sua amante che segue la scena della sodomia; l'inconsistenza del discorso del pastore alla figlia nella scuola; l'esasperata e gratuita crudezza dell'incesto (gratuita per il punto di vista da cui viene raccontato, cioè quello del piccolo); oppure ancora l'immotivata rissa al fiume per lo zufolo (perchè il ragazzo che è caduto nel fiume non rialza subito la testa, visto che non stà affogando?); per non parlare dei due pedanti riferimenti alla manodopera polacca.