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UNITED RED ARMY regia di Koji Wakamatsu

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K.S.T.D.E.D.     8 / 10  21/12/2009 15:28:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Wakamatsu, regista giapponese che ha girato, con questa, qualcosa come 101 pellicole, ha diretto i suoi primi film intorno agli anni '60, anni in cui il Giappone(i giovani giapponesi in particolar modo), e non solo, era in fermento. In varie pellicole di quel periodo, infatti, si respira chiaramente quel particolare stato d'animo che permeava la nazione, riassumibile e in ideali nuovi e nella voglia di combattere per essi. Prima di "United Red Army", però, Wakamatsu si era concentrato, più che sull'attivismo vero e proprio, sulle conseguenze in parte indirette di tali cambiamenti(che restavano sullo sfondo), tratteggiando con un taglio lucido, freddo ed essenziale l'altra faccia degli stessi, ossia il non avvicinamento al nuovo, da una parte, ed il distaccamento dal vecchio, dall'altra. A venirne fuori erano quindi giovani senza scopi o aspirazioni particolari, autodistruttivi, fermi, nel bel mezzo dell'occhio del ciclone (vedi "Su su.."). Solo con "Seizoku" il regista giapponese inquadra molto più da vicino i giovani impegnati sul fronte della protesta e della lotta civile, delineando però una sorta di deviazione dalla strada principale da parte di un gruppo di giovani in fuga, che finiscono per perdersi in se stessi e in ideali poco chiari, troppo pesanti e pertanto affogati nel sesso, onnipresente, e in altri eccessi.
Questa volta, invece, il regista di film pinku eiga della durata, così come voleva il genere, di un'ora, alza il tiro e dirige una sorta di documentario ad ampio respiro della durata di 3.10h, puntando inizialmente al cuore dell'attivismo, per poi concentrarsi sull'estremismo e su uno dei gruppi più famosi in quello scenario storico: l'URA (United Red Army).
Si individuano facilmente tre blocchi in quest'ultimo lavoro del giapponese. La prima parte, mischiando found footage e finzione documentaristica, delinea la situazione generale, individuando cause, conseguenze, motivazioni e avvenimenti, i più importanti, che hanno contribuito alla nascita di quella particolare situazione in Giappone; quindi la formazione delle coscienze dei giovani attivisti, il patto di sicurezza nippo-americano, la formazione di vari gruppi, conflitti e scissioni degli stessi, i primi scontri e le prime vittime. Questa prima parte, inoltre, serve a W. per presentare e descrivere alcuni dei giovani che avranno poi un ruolo primario nella formazione dell'URA.
La seconda parte è di sicuro la più Wakamatsiana, o comunque quella in cui ilr egista giapponese si trova a suo agio. La stessa, infatti, si concentra esclusivamente sulla neonata URA e sull'addestramento sui monti dei membri della stessa, per poter poi affrontare quella che loro stessi definivano "la guerra a tutto campo". Quanto succede in questa parte è una perdita totale, completa e definitiva della visione iniziale, o anche solo di una visione coerente e solida, e della situazione e delle motivazioni alla base della formazione del gruppo stesso. Si giunge così ad un degrado umano disturbante e a punizioni corporali inflitte in nome di un ideale estremizzato e di uno strumento del tutto distorto(e poco chiaro anche agli stessi membri) come l'autocritica comunista. Uno scenario fatto di rigidità, prigionia, violenza e terrore in cui Wakamatsu sa muoversi benissimo. E così fa. Con la sua classica regia scarna ed essenziale rende questo secondo blocco particolarmente crudo, estenuante e a tratti grottesco. Bilancio finale di tale addestramento: 14 morti, uccisi violentemente dagli stessi compagni perché non ritenuti abbastanza rivoluzionari.
Si giunge così alla terza ed ultima parte, che racconta l'occupazione di una baita - baita dello stesso Wakamatsu che continua ad autofinanziarsi e ad autoprodursi - da parte dei restanti membri dell'URA in fuga dalla polizia. Un assedio durato giorni e ovviamente conclusosi con gli arresti degli occupanti. La regia di W. non è forse troppo a suo agio con le scene d'azione, che quasi assumono l'aspetto di un filmino, ma la cosa è assolutamente secondaria, se non proprio terziaria, data l'importanza di tutto il resto. In quest'ultima parte, inoltre, il regista di "Embryo" non manca di introdurre delle riflessioni critiche anche sull'operato delle forze dell'ordine e più in generale dello stato.

A venirne fuori, quindi, è uno spaccato di quella parte della società che nel pieno di un caos socio/politico/economico ha deviato verso soluzioni estreme, attraverso la distorsione, più o meno consapevole, di ideali largamente condivisi. Più in generale, però, si può osservare il ritratto, il linea col cinema di W., come detto i precedenza, di una società in lotta con i cambiamenti e con se stessa che sembra rifugiarsi o cercare vie d'uscita attraverso altre forme, spesso estreme. Non è un caso, infatti, che "estremo" sia tra gli aggettivi che meglio descrivono il cinema di uno dei registi più prolifici di sempre.