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IL FAVOLOSO MONDO DI AMELIE regia di Jean-Pierre Jeunet

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9½ / 10  08/05/2011 19:02:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci sono opere che hanno la capacità di fissare l'aria del tempo, l'air du temps, per dirla alla francese.
E questa opera ultravisionaria di Jean-Pierre Jeunet ne è la prova vivente.
Esteticamente non c'è una sola cosa che non sfiori la perfezione dell'ispirazione: soggetto, sceneggiatura e dialoghi (usciti dalla penna sagace di Guillaume Laurant), fotografia, luci, montaggio, effetti speciali (sia video che audio), attori, regia e soprattutto musica: il grandissimo Yann Tiersen ha dato il meglio di sé regalandoci arrangiamenti "à l'accordéon" in puro stile "suzette" richiamando tutto l'immaginario che possiamo avere su Parigi.
Il film è una favola e come tale ne prende a prestito tutte le caratteristiche: ha un lieto fine, distorce la realtà, ha le sue false ingenuità, ma parla anche del Male e dei suoi mostri. E qui il Male si chiama Incomunicabilità, o meglio: incapacità di comunicare, soprattutto i sentimenti. E di non saperli gestire, specialmente quando sono positivi.
I continui "atti mancati" che assillano tutti i personaggi della fiaba, e in particolare Amélie, ci rimandano alle nostre incapacità di agire, ai nostri fallimenti dovuti al nostro non saper osare, al nostro isolamento egoistico che ci rende inesperti nel comunicare con gli altri. Molto più comodo vivere nel mondo dei (nostri) sogni, nei nostri "film mentali" (letteralmente: la grande potenza di questa pellicola sta proprio nel rilessicalizzare questa metafora fino alla fine), dove tutto gira alla perfezione; e se non va, ci giustifichiamo invocando il "diritto a fallire" invece di reagire.
Nei piccoli-grandi tic del quotidiano sprofonda la nostra immagine di Esseri Perfetti, proprio come l'Amélie che si scioglie in una cascata d'acqua dopo l'ennesima occasione mancata di dichiararsi al desideratissimo Nino: quante volte ci siamo sentiti così? E allora è meglio rinchiudersi nelle prigioni dorate delle nostre case, nei nostri film, nell'osservare ben protetti la rappresentazione della vita che altri fanno. Ed è in questo gioco di specchi (sarà un personaggio secondario di una tela di Renoir a rendere consapevole Amélie dei propri sentimenti reali) che Jeunet ci ricorda il ruolo degli Artisti e dei Sognatori: rivelare noi stessi facendoci uscire dal nostro egotismo.
Erroneamente letto come un inno all'ottimismo, in realtà è una piccola serie di drammi che virano al lieto fine solo perché i personaggi decidono all'ultimissimo momento di assumere in pieno la propria vita: così sarà per Amélie, ma anche per il padre che solo attraverso la metafora dello gnomo ritratto in tutte le parti del mondo riuscirà a uscire da se stesso per riaprirsi all'esistenza. E lo stesso varrà per Nino che, sorretto dalla tenacia di raggiungere un obiettivo (incontrare la misteriosa Dama Salvatrice che gli ha restituito il prezioso album di fototessere rubate), riuscirà a uscire definitivamente dal proprio guscio non appena la realtà tornerà ad avere il sopravvento sulle sue fantasie (precisamente quando risolverà il mistero dell'uomo che si faceva fotografare nelle macchinette delle stazioni di tutta Parigi scoprendo che non era un fantasma in cerca di requie); a quel punto realtà e sogno tornano a stare in equilibrio, ognuna con la sua funzione precipua. Indimenticabili alcune sequenze: lo straordinario movimento di camera al momento della liberazione del pesce rosso nel canale, Amélie che fotografa le nuvole a forma di coniglietto e di orsetto, la meravigliosa carrellata nel primo inseguimento di Nino, il suicidio della turista del Québec (chi conosce la mentalità francese avrà afferrato la velenosa ironia di questa trovata: mancavano solo i belgi!!), la straordinaria presentazione iniziale dei personaggi principali prima dei titoli di testa, la panoramica della Gare de l'Est improvvisamente vuota dopo l'ennesimo mancato incontro tra Amélie e Nino, le fototessere che svegliano e parlano a Nino, gli oggetti della camera da letto di Amélie che si animano per confabulare sullo stato d'animo della ragazza, il balletto di bicchieri, piatti e suppellettili varie che scandisce il focoso amplesso tra Georgette e l'avventore del bar...
C'è chi ha accusato Jeunet di aver dipinto una Parigi da fiaba; ma è proprio questo il punto di forza del film! Perché, lo ribadisco, Amélie è la favola dei nostri poveri tempi, fatti di tante solitudini che con difficoltà si incontrano e con facilità si lasciano, portando con sé un grande vuoto esistenziale. Come in una delle sequenze iniziali, dove un uomo depenna il nome e l'indirizzo dell'amico appena seppellito, lasciando una riga vuota in un'agenda zeppa di altri nominativi.
Ed è qui che l'apparente ottimismo fiabesco di Jeunet e Laurant lascia trasparire tutta la tragedia del reale.
pier91  01/01/2013 23:05:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi


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oh dae-soo  08/05/2011 19:13:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Commento meravigioso a un film meraviglioso. Stop.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  08/05/2011 19:21:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Basta a farmi arrossire!!!! Un salutone a te: approfitto di una fastidiosissima tonsillite per rivedermi qualche piccolo-grande capolavoro!
Leonardo76  07/08/2011 19:50:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Complimenti, davvero un bel commento. Mi ha fatto apprezzare ancora di più quest'ottimo film, grazie!!!!
chupas8  03/10/2011 17:30:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
bellissima analisi...complimenti!