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ROSEMARY'S BABY - NASTRO ROSSO A NEW YORK regia di Roman Polanski

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Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf     9 / 10  28/08/2010 10:20:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ho già postato questo commento su FilmUp... lo riporto per rapidità.
Tanto per cominciare, Rosemary's Baby non è un vero e proprio horror, ma più un thriller con risolti psicologici.
Nel caso di Shining è vero che è riduttivo parlarne in termini di genere, ma questo vale per quasi tutti i film di Kubrick... nonostante le innumerevoli tematiche rilevabili(non necessariamente presenti, si legga tra le righe...)nel capolavoro di Kubrick, resta infatti indubbio che si tratta di uno dei film più complessi del maestro ed al tempo stesso più di "genere".
E' stato concepito come film horror e resta tale, a prescindere dal suo prestarsi ad innumerevoli chiavi di lettura - più di ogni altro horror nella storia del cinema, insieme a Nosferatu di Murnau, forse -, del suo essere film "sull'interpretazione", parafrasando Ghezzi.
Come è stato giustamente notato, Rosemary's Baby è un film bunueliano. E non mi riferisco solo alla famosa scena del sogno, gioiello del surrealismo, ma mi riferisco in particolar modo alla politica del film, spiccatamente pessimista sul mondo borghese.
Ma in Polanski manca quell'ironia di fondo che caratterizzava l'ultima parte della carriera del grande regista spagnolo.
Per analizzare il film sarebbe sufficiente soffermarsi sulle inquadrature iniziali e di chiusura del film, sul quartiere Dakota(si chiamava così, giusto?). Esse segnano l'impossibilità di un affrancamento da quel piccolo mondo borghese, mondo all'apparenza fin troppo ordinato(come il condominio del successivo The Tenant), ma incredibilmente oscuro e grottesco nella sua biechezza.
A differenza del successivo The Tenant(forse il mio preferito di Polanski, un vero e proprio gioiello), il Cul-De-Sac dell'individuo è convalidato dalla presenza del Male, laddove nell'altro lavoro il Male è assoggettato all'individuo stesso, alle proprie fobie personali, che invece in Rosemary's Baby trovano conferma.
Non è comunque da scartare l'ambiguità di fondo che caratterizza l'opera: alcuni hanno visto in Rosemary's Baby - tesi tra l'altro interessantissima - una sorta di metafora dell'essere madri, del terrore di divenire madri, che si manifesta in quella percezione di un ambiente apparentemente familiare che si rivela ostile, quasi complottisticamente mosso al fine di perseguire i propri sporchi obiettivi.
Ciò che resta senza dubbio a livello tematico è la resa di un mondo borghese sporco nella sua ritualità, colto nella sua dimensione più intima e grottesca: non è caricatura come in Bunuel... è - come nel primo Bunuel, in un certo senso - quasi documentaristico, è quasi una presa per i fondelli realistica, senza forzature. Neanche il satanismo è reso con grandi pretese metafisiche - per fortuna, aggiungerei - per rendere il film sgombro da incanalamenti troppo ristretti in ambito interpretativo.
L'horror di Polanski deriva pienamente da quello dell'ossessione di Bunuel, resa qui in un modo molto particolare.
L'altra tematica dominante è quella della donna subordinata al marito, ai propri vicini, alla società, alla propria condizione di essere donna, moglie e madre al tempo stesso.
La congiura ordita contro Rosemary - immaginaria o meno che sia - è emblematica di un sistema solo all'apparenza in grado di integrare tutti... il mondo borghese è responsabile di questa illusione di un sistema giusto e accogliente.
I sogni di Rosemary sono banali nella loro semplicità: consistono nell'essere madre, nel vivere sicura nel suo nido, che alla fine si rivelerà una trappola dal quale non sarà possibile uscire.
La claustrofobia del film è più simbolica che nel surreale The tenant o che nel finale di Cul-de-sac, o ancora che nella follia della Deneuve in Repulsion.
E' claustrofobia intesa come impossibilità di uscire dal proprio mondo, quello borghese, quello per cui si è combattuto, del quale si voleva in un primo momento divenire parte.
Altra tematica è quella del Male, come già evidenziato da altri utenti, prima respinto, poi accolto...
Il fascino discreto del Male, dunque.
A livello ancora più banale si può poi dire che un figlio è pur sempre un figlio e una madre lo accetterà sempre e comunque per quello che è.
Polanski denuncia poi la politica del cinema, del mondo dello spettacolo, spietato e pronto ad ogni mezzo, lecito od illecito che sia(ecco cosa significa letteralmente "vendersi al diavolo"), come farà il marito di Rosemary.
Non si parla di mafia come in Chinatown, ma di satanismo... poco conta.
E come in Chinatown una possibilità di riscatto è impossibile.
Si tratta di uno dei capisaldi del cinema di tutti i tempi a mio avviso e tra i migliori di Polanski.
Molti lo considerano il suo capolavoro, ma io mi asterrei dall'esprimere un giudizio... insomma, Polanski è Polanski. Punto.
Ciumi  03/09/2010 19:29:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sono molto interessanti le analogie che fai tra ‘Rosemary’ e il cinema di Bunuel, un’osservazione che condivido e che sinceramente a me non era mai venuta, non so come mai, probabilmente per via del fatto che i due autori adottano stili completamente diversi (fatta forse eccezione della sequenza onirica, come hai scritto tu)..


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Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf  04/09/2010 10:44:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In effetti il paragone tra i due è forse un po' azzardato, diciamo che l'elemento in comune tra i due è l'analisi critica del mondo borghese. Il sogno infranto della buona madre borghese di Rosemary's Baby raggiunge però dimensioni tragiche che in Bunuel non rileviamo perché nel regista spagnolo(soprattutto verso la fine della sua carriera)a prevalere è l'ironia, la tristezza è celata dalle caricature che Bunuel da vero maestro riesce a creare.
Nell'ultimo Bunuel si ride(da Bella di Giorno in poi, direi), in Polanski no, è cinema più "drammatico", come in Cul-de-Sac(altro film radicalmente antiborghese).
Per quanto riguarda l'onirismo, Polanski mi sembra interessato più a non mostrare che a mostrare, come quando il bambino di Rosemary non viene inquadrato, ma lascia al potere suggestivo dello spettatore il compito di fare il resto.
Anche lui, insomma, giocava molto con la sensibilità e con la fantasia dello spettatore. Le paranoie che vediamo nell'Inquilino del terzo piano sono quasi oniriche, quasi una spirale alla Vertigo(specialmente nel finale), mentre in Rosemary's baby l'onirismo è meno forte. All'inizio della sua carriera Polanski girò dei corti(che non ho ancora visto)che prendevano parzialmente spunto dal surrealismo, movimento in cui era molto interessato.


Ciumi  05/09/2010 13:29:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E’ vero la bellezza di quell’ultima scena sta soprattutto nel non avere mostrato; il bimbo - ‘cosa gli avete fatto?’ ‘i suoi occhi rossi’ - ci viene raccontato solo attraverso lo sguardo della madre che da turbato si fa dolce. E’ infondo lei che, in segno di pudore, non ce lo mostra, se lo tiene per sé, lo contempla come ogni madre farebbe col proprio neonato. Anche in ‘Repulsion’ il regista non mostra, lascia appena intravvedere nel finale, in quell’occhiata obliqua al padre nella fotografia, la ragione dei tormenti della protagonista.
Beh è vero che il cinema di Polanski è generalmente più drammatico, sicuramente più angosciato rispetto a quello di Bunuel; ma allo stesso tempo si può dire che si tinga anch’esso di tinte ironiche e grottesche, come d’altronde quello di Bunuel abbia molte punte drammatiche. A proposito di sequenze oniriche, in ‘I figli della violenza’ ce n’è una bellissima, e che ha ben poca ironia. Comunque ho capito ciò che vuoi dire e mi trovo d’accordo.

Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf  05/09/2010 21:27:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il primo Bunuel era in effetti molto più drammatico di Bunuel(Los Olivados, Nazarin...)ed è vero che in Polanski c'è sempre la dimensione del grottesco, anche se a mio avviso si può parlare di inversioni. Nel caso dell'ultimo Bunuel l'ironia sdrammatizza le situazioni e ne caratterizza la critica(satira, in pratica), laddove in Polanski è in molti casi il grottesco ad essere ripugnante, più che ironico, anche se l'ironia è caratterizzante anche del cinema di Polanski secondo me(lo dovrei studiare meglio).
I figli della violenza è uno dei film più drammatici che abbia mai visto, davvero cupo ed angosciante... l'ultimo Bunuel è cambiato radicalmente da quello che era all'inizio della sua carriera.