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L'INQUILINO DEL TERZO PIANO regia di Roman Polanski

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amterme63     7½ / 10  22/02/2011 22:10:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"L'inquilino del terzo piano" è considerato uno dei capolavori di Polanski, quello che meglio di tutti mette in evidenza la sua arte nella rappresentazione delle nevrosi. Personalmente trovo che "Repulsion" e "Rosemary's Baby" siano artisticamente superiori a questo film.
In questi primi due film i personaggi e la storia sono congegnati in modo che tutto fila in maniera molto naturale e spontanea, tanto da sembrare dei ritratti presi direttamente dal reale. Il messaggio scaturisce come conseguenza di fatti naturali. Ne "L'inquilino" invece Polanski prepara una storia "appositamente" per mettere in evidenza una progressione già stabilita a priori, per esprimere una certa idea e una tesi precisa. E' come se il pubblico riuscisse a scorgere in trasparenza dietro il fondale i marchingegni che fanno muovere una rappresentazione teatrale. In altre parole l'intento dimostrativo ha il sopravvento sull'intento rappresentativo.
Ovviamente questa è solo una mia opinione. In sé tra l'altro questo procedimento non è certo un difetto. Anzi, chi non ha visto ancora i due film che ho citato non potrà che rimanere sorpreso e ammirato dalla storia di questo film e dal suo sviluppo. Chi invece ha visto "Repulsion" e "Rosemary's Baby" non farà altro che cogliere similitudini, paralleli, addirittura delle vere e propri citazioni. Il tema è lo stesso, solo che è in qualche maniera concentrato, più chiaro, più mirato. Paradossalmente questo finisce per impoverire la storia, per renderla meno plausibile e più astratta. In "Repulsion" ad esempio c'erano un sacco di scene banali, prosaiche, apparentemente senza connessione con la storia (il convento, le ricette di cucina, la manicure e le clienti) che davano però l'impressione di realtà vera ed effettiva nel suo normale svolgersi. Qui è tutto più "razionale" e funzionale alla genesi e allo sviluppo della nevrosi (scissione dell'io, doppio). In "Repulsion" e "Rosemary's Baby" c'era una gestione molto sottile, quasi indistinguibile, molto ben amalgamata fra reale e immaginato; tanto che lo spettatore faceva fatica a distinguere. Qui invece (soprattutto nel finale - vedi la scena dell'incidente automobilistico) si affiancano riprese del reale così com'è, alle stesse scene riprese come le vede in soggettiva il protagonista. In questa maniera si perde la magia dell'incerto e del dubbioso.
Poi è soprattutto il protagonista che non va. Carol, Rosemary, George, il ragazzo de "Il coltello nell'acqua" erano personaggi con tante sfaccettature, con tante storie che venivano dipanate durante il film e rendevano le figure complete, complesse e affascinanti. Del naturalizzato polacco (di cui conosciamo solo il cognome e non il nome) si sa veramente poco. Si evince che è un perdente, un imbranato, soprattutto una persona molto debole e suggestionabile. Non sembra però un malato e per questo che tutto il suo comportamento appare a volte assurdo e decisamente inspiegabile, anche a fronte dell'ostilità dei suoi vicini di casa. Da dove deriva la sua nevrosi? Impotenza? Boh, non è dato saperlo con certezza.
Evidentemente a Polanski non premeva tanto dare un quadro reale e plausibile di persone con le loro storie. Quello che vuole farci vedere è lo stato di tensione e difficoltà di convivenza, prodotto dal vivere artificiale e ammassato moderno. Da questo punto di vista Polanski ci offre un quadro impietoso ed efficacissimo. Dalla situazione ritratta si capisce l'enorme disagio del vivere attuale, come se si fosse di nuovo tornati alla giungla, in cui per sopravvivere bisogna pensare solo a se stessi, tirare fuori le unghie o mostrare i denti. Un ritratto veramente impietoso del non-vivere sociale moderno. E' questa senz'altro la parte più convincente e riuscita del film.
Che Polanski abbia voluto farci riflettere su di una situazione (più che raccontare una storia reale) lo si capisce anche dal fatto che in questo film è molto forte la componente ironica e a volte comica (che diventa a volte grottesca), che spinge ad estraniarsi e a guardare in maniera a volte distaccata la vicenda. Diventa appositamente assurdo per provocarci e farci riflettere. Ahimé, con molta cognizione di causa.