caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

L'INQUILINO DEL TERZO PIANO regia di Roman Polanski

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  29/11/2012 00:50:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sensazionale thriller di Polanski. Il regista polacco si (ri)conferma uno dei maestri della suspense eredi del genio di Hitchcock, dal quale - a mio modo di vedere - egli pesca stratagemmi e concetti.
Sin dall'inizio è tutto giocato sulla creazione di una "realtà" misteriosa, malata ed a suo modo straniante: quasi nulla si sa dei personaggi, identificati solo da comportamenti bizzarri e sguardi enigmatici, da frasi tipiche e da blande interconnessioni personali. Persino del timido protagonista si delinea in modo superficiale il background, ed il rapporto creatosi tra Trelkovsky e la stupenda Adjani ha parecchio di anonimo e di inspiegato. Ciò che però domina l'intera prima parte della pellicola, scandita da tempi lunghi e da diverse scene che lo spettatore può trovare di dubbia utilità, è l'opprimente senso di claustrofobia: quella casa, quell'oscuro appartamento, quelle scale concentriche che quasi preannunciano la spirale di follia che si scatenerà. Un ambiente angosciante col quale il protagonista si troverà suo malgrado a combattere; ma proprio la "chiusura" di quest'ambiente pone in evidenza uno degli elementi chiave del film - la dicotomia fra "interno" ed "esterno", fra reale e immaginario, fra ciò che è davvero realtà oggettiva e ciò che invece fa parte del parto della mente del protagonista. Quel cortile interno dal quale Polanski vede gli altri ma anche sé stesso, è un guardare il mondo alla ricerca di una risoluzione dei fatti ma è anche un guardarsi dentro attraverso il filtro del vetro della finestra (rielaborazione degli stilemi hitchcockiani de "La Finestra sul Cortile"?), mentre gli specchi rivelatori mostrano la parabola di scissione dell'io (cfr. con "La donna che visse due volte" dov'era ugualmente presente il tema del doppio e dell'emulo) e di inesorabile trasformazione.
Altro aspetto fondamentale è il tema dell'integrazione, che assume almeno tre stratificazioni: Trelkovsky è un immigrato polacco in una città francese, è un timido ed un quieto trovatosi a confrontarsi con colleghi chiassosi e sanguigni, ed è un "estraneo", costretto ad adattarsi al nuovo e particolare microcosmo del condominio; egli è un alienato, ed in quell'alienazione è sensato scorgere il motore della sua nevrosi (che è comunque più psichica che esistenziale o sociologica).
E' questo il terreno sul quale, fra un gioco di ombre e una visione allucinata, si sviluppa l'epopea paranoica e complottista del protagonista: con le musiche, le scenografie ed una stupenda fotografia il regista riesce a rendere ancora più intense le atmosfere create e gioca con intelligenza con gli elementi costruiti - attinti anche dalle tragedie personali (la casa degli orrori di Manson in cui venne uccisa la moglie) - per elaborare un thriller psicologico davvero disturbante, che carica per più di un'ora esplodendo solo nell'ultima parte con un finale ambiguo ed aperto all'interpretazione (incubo senza fine?). Quel grido penetra nell'anima, lasciando presagire nel non mostrato e nel non spiegato scenari ancora più agghiaccianti di quelli vissuti fino a quel momento.