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BASTA CHE FUNZIONI regia di Woody Allen

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Invia una mail all'autore del commento lorenzo971     8 / 10  22/04/2010 15:55:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dopo oltre 70 film di successo il genio di Allen non si spegne. Non si invecchia, non cede alla banalità del già visto, non rinnega la sua arte alla ricerca di un pubblico alla moda, immune alla stanchezza intellettuale mantiene inalterati i sensi, e con la carta carbone visiva ricalca ancora una volta la sua filosofia sulla pellicola, il suo pensiero in continuo mutamento, che negli anni ha saputo guardare negli abissi della disperazione umana avvolto in un cinismo ignifugo, ha superato le trincee del luogo comune e degli stereotipi giungendo ad espugnare a colpi di sarcasmo i bastioni "dell'insensata e barbarica" vita a cui si aggrappa l'uomo moderno, le sue certezze, i suoi valori.

In "Basta che funzioni" non cessa la denuncia verso quello "stupido egoista codardo e miope verme" che è l'individuo medio, verso i suoi sogni falliti allagati dalla stupidità, dal suo intorpidimento intellettuale, dalla sua inettitudine culturale. Aborrisce in ogni aspetto la società in cui vive e i suoi burattini, ma allo stesso tempo ne è attratto. Per quanto alto sia il piedistallo su cui Boris cerca di nascondersi da moderno stilobate, per quanto faccia della sua conoscenza un pomposo isolante verso il mondo esterno, egli non riesce a distaccarsene completamente, non riesce a fuggirne: crede di possedere una visione di insieme ma è rinchiuso nelle sue paure, nelle sue fissazioni deliranti.
Neanche nelle tenebre del pessimismo più nero riesce a dimenticare il mondo esterno, perché Boris, seppur cerca di scappare più volte "gettandosi in mare", fallisce, si ritrova sulla stessa barca di tutti gli altri "vermetti"; è un "genio", ma privo del superiore distacco intellettuale del saggio proprio perchè è veramente saggio: non si sollazza nel delirio stoico ma comprende, e con tutte le forze scaccia, l'atroce verità: ha bisogno di loro, non può prescindere da loro, è uno di loro.

Allen cerca di scuotere lo spettatore, parlandogli direttamente, guardandolo negli occhi, urlandogli contro di non arrendersi alla banalità, ma lo fa con un atteggiamento bonario, non tanto rassegnato quanto comprensivo e, a forza di negarlo, afferma il profondo attaccamento verso la vita e gli altri, tanto da concederci, come spesso fa al termine del film, dopo la catarsi, un finale, e addirittura un messaggio, positivo: "basta che funzioni".
Ecco il kernel del film.
Il punto di approdo (perlomeno attuale) del pensiero del regista: "basta non fare del male a nessuno, basta rubacchiare un poco di gioia; in questo crudele mondo dove uomo mangia uomo e buio caos" l'unica possibilità di sopravvivenza è nell'altro; alla fine, il protagonista come il regista, si arrende all'empatia, all'importanza fondamentale dell'amore (di qualunque genere esso sia) e, naturalmente, al culto dell'orgasmo.
Come dice a tu per tu con lo spettatore alla conclusione "qualunque amore riusciate a dare e avere qualunque felicità riusciate a rubacchiare o a procurare, qualunque temporanea elargizione di grazia, basta che funzioni".
Ciò che è veramente fondamentale è diffidare sempre e comunque delle convenzioni, non adorarle e, in loro nome, negare se stessi, la propria essenza più intima; bisogna "tirare avanti", in un modo o nell'altro, senza farsi troppi problemi, senza eccessivi "come" e "quando". Sono inutili gli "avrei potuto" e "avrei dovuto", è idiota persino il progettare, tramare, bramare, perché alla fine dobbiamo inginocchiarci alla fortuna, alla consapevolezza che ogni attimo scorre in funzione di un caso pazzesco e folle, che non sapremmo mai come sarebbe potuta andare: ci dibattiamo tra le infinite combinazioni dell'esistenza, e tra queste ne estraiamo una, né migliore, nè peggiore, soltanto differente.