Marlon Brando 10 / 10 30/08/2007 21:19:36 » Rispondi Trasportare al cinema un romanzo come Morte a Venezia è un'operazione estremamente complessa, ma Visconti grazie alla sua straordinaria bravura ci riesce alla perfezione. Morte a Venezia e Ludwig formano uno straordinario dittico sull'arte: rispettivamente su chi la crea e su chi ne "usufruisce" o meglio "subisce". Visconti riprende in pieno la tematica del libro cogliendo in pieno la miseria dell'artista, del suo lavoro che non ha nulla di puro, ma è qualcosa che nasce da un pensiero legato a pulsioni di una sofferente morbosità. Il finale è di devastante bellezza: Aschenbach mira Tadzio sulla spiaggia il suo oggetto dei desideri, la sua utopia, purissima e intoccabile, mentre il suo genio artistico si palesa con fatica, sotto forma di sudore, un sudore sporco, nero, ridicolo e soprattutto artificioso come tutto il film e alla sua vita mortale autosacrificata prende posto una creazione immortale. Un transito che avviene proprio nel momento del dolore più abietto e degradante dell'artista permette di toccare, forse con un'illusione, il divino.