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SCIUSCIA' regia di Vittorio De Sica

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     9 / 10  20/08/2005 01:43:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eminenze illustri hanno provato per anni a boicottare il neorealismo e lo stesso Zavattini tacciato di "fatalismo poetico", in un'epoca in cui - vivaddio - si discuteva animatamente nei confronti di quelle licenze culturali che oggi non hanno più voce, nè traccia. "Sciuscià" è un'opera che vanta sostenitori di fama come Orson Welles e che probabilmente fa parte di un'ottica in cui l'idealismo stilistico di De Sica si sposa abilmente con l'ottica sociologica Zavattiniana senza che quest'ultima prenda il sopravvento (come accade talvolta anche nelle giustamente celebrate prove successive). Detto cio', è chiaro quanto l'autore sia rimasto influenzato dai francesi, Vigo e Pagnol in particolare, quando racconta la storia dei due ragazzi in un dopoguerra che nega il futuro proprio a chi dovrebbe avere tempo e ragione per la speranza. Particolarmente rilevante, in tal senso, il personaggio del ragazzino malato, che nel contesto duro del riformatorio stride con la diseguale omertà di un sistema repressivo, tale da scoprire che in tanti decenni molto è cambiato a fatti e poco a parole. C'è l'elegia di una giovinezza ancora acerba che pretende di svegliarsi in una dimensione adulta (cfr. il fastidio provato per le comiche del muto, prodotti d'evasione "roba da ragazzini") e la Disciplina del Branco, dannoso e rispettato, almeno quanto l'etica del tradimento che fa passare questi piccoli uomini in secondo piano rispetto alle posizioni altrettanto profane del mondo adulto. Ma c'è soprattutto un finale commosso, struggente, crudele perchè tale è il bisogno umano di vivere senza il distacco dagli altri. Non c'è, forse, vera denuncia verso qualcuno, ma la corda che si spezza quando frantuma nell'istituzione nella repressione ogni possibilità di credere. In questo senso davvero il fatalismo è un gioco sottile perchè tende soprattutto a reclamare un destino diverso