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LADRI DI BICICLETTE regia di Vittorio De Sica

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Invia una mail all'autore del commento doncorleone     10 / 10  18/01/2006 23:06:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dopo Sciuscià De Sica torna a far visita alle grotte della bassezza sociale e della povertà che emargina. E lo fa senza patetismi, con una vicenda formalmente triviale, volutamente prosaica e sempliciotta che getta un ‘occhiata severa e nel contempo disperante al quotidiano più umile, quello fatto anche di esorcismi, credenze irrazionali, paganesimi e soprattutto disoccupazione. L’ esordio sembra quasi un Fronte del porto romanizzato colla ressa per accaparrarsi un mestiere. Poi dopo il tripudio quasi surreale dell’ aver ottenuto un lavoro e principalmente un salario indispensabile per continuare ad aggirarsi tra le miserie del quotidiano sopraggiunge il dramma del furto della bicicletta. Bicicletta quale strumento tramite cui attenuare l’ imperfezione e la limitatezza umana e senza la quale, trasformatasi in breve in un’Angelica becera che riesce sempre a sfuggire col suo anello miracoloso al neo-attacchino Antonio, si dissolve l’ opportunità di un decoro esistenziale. In questa ambientazione , nella Roma del dopoguerra dove ancora rimangono vivide le cicatrici del conflitto mondiale, marcate a fuoco sulla pelle dei più deboli, degli sprovveduti, dei disarmati socialmente tutto si veste di normale, di giustificato e giustificabile, l’ illecito diviene digeribile, il reato passabile, l’ angheria e la truffa dimenticabili.
L’ unica arma, se di arma si può parlare, in questa giungla selvaggia infestata da zoticoni, spiantati, scaltri, allocchi ma con il comune denominatore di essere perdenti, subalterni, reietti fuoriusciti dal tubo di scarico della società è il non concedere sostegno all’ altro, non lasciarsi andare alla solidarietà ma a forza di gomitate cercare di salire sul carro dei vincitori, che poi di vincitori non si tratta. Nei bassifondi non ci si imbatte mai in quegli “altri”, nei vertici, lungi dal frequentare l’ humus spregevole del proletariato sotterraneo. Solo in un’occasione, il burattinaio De Sica ci regala la visione di un accostamento con i borghesi agiati, facoltosi e dalle buone maniere a tavola; è nell’ osteria quando questi ultimi si sono trovati, sciaguratamente, a popolare la taverna plebea e in quella circostanza solo la tenerezza puerile ci risparmia un ‘ imminente caduta.
Certo la narrazione partorita dalle straordinarie menti di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini manca della vena visionaria di un Fellini, di un Amarcord, eppure ciò non esclude che la prosa seppure aspra e dolente trasudi liricità e traspaia i versi velati di una poesia forse meno immaginifica ma ugualmente suggestiva.
Così il resoconto della storia si tinge di realismo, di neo-realismo. Ma qui non c’ è traccia di grottesco e nemmeno si avverte quel sovvertimento della realtà in chiave caricaturale e macchiettistica tanto cara a Fellini. Del resto De Sica non è Fellini. Giacchè il primo è l’ alfiere di un verismo purissimo, disinfettato da ogni effimero intellettualismo per lasciare scorrere senza argini la poesia di cui è permeata la realtà ordinaria che contempla in sé dialetti, mestizie, iniquità, difficoltà, brutture, irragionevolezze, crimini.
Ladri di biciclette rappresenta per certi versi il contro-canto elegiaco della dolce vita felliniana oppure è un Novecento vissuto da Olmo Dalcò in maniera più bruciante, sdrucita, logora, versione stradale e periferica che annovera anche tra i suoi pregi l’ assenza di un occhio così vistosamente rosso come quello di Bertolucci. De Sica in questo e cioè a limitarsi a mettere in campo le sue pedine senza troppo governarle è stato memorabile. In conclusione mi rimane un solo desiderio da inoltrarvi ed è quello di mostrare clemenza nell ‘assolvere Antonio in quel suo ultimo gesto sciagurato e inconsulto culminante in quel pianto straziante che ha sapore di un regale ( e questo trascende ogni vestito consunto ) attaccamento ad un valore oggi traballante nell’ universo borghese: la famiglia.
Uno degli ormai pochi motivi per sbandierare il tricolore.
Capolavoro senza tempo che eterna, sublimandola, la semplicità del quotidiano.