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MIRACOLO A MILANO regia di Vittorio De Sica

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amterme63     8 / 10  17/08/2007 15:46:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film particolare, un misto fra realtà e fiaba. Più che altro vuole rappresentare un po’ il nucleo ideologico che animava il neorealismo italiano, soprattutto nella versione creata da Cesare Zavattini. I film che si rifacevano a quello stile avevano tutti in comune l’esaltazione della persona comune, anche se povera e ignorante. Venivano rappresentati come dei piccoli eroi alla prese con una realtà difficilissima. Sono loro i portatori di valori sani come solidarietà, affetto, semplicità e dirittura morale. Loro sono i cardini della società, quelli che portano avanti i valori fondamentali di famiglia e operosità. Tutti i film neorealisti dell’epoca avevano in comune questa visione. Zavattini ci aggiunge però una vena spiritualista molto accentuata. La povera gente è quella più vicina al divino, che senz’altro esiste (questa cosa non è nemmeno posta in discussione). Da questo punto di vista riflette una parte dell’ideologia della Democrazia Cristiana, che proprio un anno prima si era affermata come guida politica e morale dell’Italia.
De Sica traduce queste idee di base in maniera mirabile, disegnando una specie di piccola comunità utopica. Qualcosa di “miracoloso” come dice il titolo. Persone molto semplici e ignoranti, con una loro ben precisa moralità, che si accontentano di poco, vivono con il sorriso in bocca e operano allegramente e ordinatamente insieme. Non si nasconde certo che si tratta di una specie di fantasia. Fin dall’inizio si sottolinea proprio l’aspetto irreale ed esemplare della storia, anche usando l’ironia (il bambino sotto i cavoli, gli spiriti del paradiso che inseguono un’anima fuggitiva e si fermano ad uno stop). L’attenzione è però puntata sulla condizione sociale inferiore dei protagonisti, i quali non hanno alcun odio pregiudiziale verso i più ricchi (Totò gli applaude, ha fiducia nella loro “bontà” e nel loro cuore). Se quindi ci sono sommovimenti sociali la colpa è dei ricchi che non tengono adeguatamente conto dei più poveri. L’appello è allora all’armonia fra le classi (come in Metropolis).
Il finale, anche se rappresenta l’apoteosi spirituale del mondo semplice della povera gente, in realtà rappresenta la loro sconfitta. Il loro mondo non sarà più di QUESTO mondo. I segni si erano già visti anche quando tutto era tranquillo. A parte i “traditori” rappresentati da Paolo Stoppa, la rovina viene dal desiderio intimo di materialità. L’aiuto reciproco, la solidarietà nasce dal bisogno e appena possono, sono pronti a rinunciarci per il loro egoistico benessere. Il mondo mitico dell’Italia umile e semplice (vagheggiato anche da Fellini e Pasolini) è stato distrutto dalle belle scarpe, dalle lavatrici e dai televisori.
E’ interessante confrontare questo film con “I figli della violenza” di Bunuel, uscito nello stesso anno. Il mondo disegnato nel film di Bunuel è quello che ancora oggi noi sentiamo come attuale, mentre quello di Zavattini/De Sica è solo un documento storico di un’epoca. La Democrazia Cristiana deluderà ben presto tutte le aspettative e diventerà un potentissimo sistema di interessi e clientele, molto più vicina a Mobbi che a Totò.