caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

THE INFORMANT regia di Steven Soderbergh

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
outsider     8 / 10  31/10/2011 19:06:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
devo dire che a me è piaciuto molto questo di Soderbergh, un prodotto la cui visione avevo eluso al passaggi al cine(ma) e poi anche volutamente tralasciato al noleggio.
Ed in vece galeotta fu la tele(visione) e ieri concesso mi sono questo sollazzo, riconosciuto al primo sguardo come tale, evidentemente anche nelle intenzioni del regista che traccia l'intero scorrere della pellicola con uno humor curiosissimo, imperniato appunto sulla personalità istrionica e semi demenziale di un Dammon che non perde un'occasione per trovare spunti a raccontar "balle", a dire il vero ben costruite, ergendosi a genio della situazione e lo spettatore quasi ci crede, fin chè…
insomma, la trama è ben giocata; chi guarda lo giudica bene, e di più, magari si convince in un finale a lieto fine, non che questo non ci sia, anzi, ma ad ogni piè sospinto questo "matto" delude, ovviamente, anche te che guardi.
e i dialoghi introspettivi e le riflessioni, anche quelle con sulle formiche…impedibili.
E' poi anche un riflesso degli anni '80, un figlio di quegli anni, questo personaggio che, solo in America, poteva dopo finire così bene come descritto dal film, riconfermando l'America, le cui aziende sono qui peraltro ben delineate e descritte, con il management e le operation strategy accuratamente sceneggiate come molto efficienti, presenti, precise, vere….riconfermando quel paese, dicevo, come la patria della contraddizione intrinseca , imprevedibile all'arrivo, inevitabile, alla fine, in ogni mondo di questa terra dominato dal, imperniato sul et impregnato di …denaro, soldi, dollari!
Ma il denaro, i lussi, le sontuosità, la voglia di apparire, il farlo, non sono niente, nulla, vuoto, i titoli di studio, le arroganze, le sinergie, non sono nulla, non interessano a nessuno, sono solo lucciole e luci, apparenza, buco nero infernale in cui si consumano le peggiori infamie ed i peggiori delitti, proprio nella sete e fame vorticosa di apparire, di essere, di avere, di pensare di essere chi, cosa(?), il vuoto il niente, perché manca la verità, la sostanza, la creazione di qualcosa, perché tale è questo personaggio che rivede il concetto nel delirio psicotico e strategicamente poi definito bipolare, nella fame di essere, nel voler essere qualcosa perché nulla è e nella presunzione di averne diritto, di auto legalizzare il furto, la truffa, la scalata irregolare che non avviene. Questa è la realtà ed a questo giungerebbe chiunque riuscisse a mettere in atto le cose abilmente "recitate" da Dammon e torniamo lì, cos'è la vita? La vita è amore, phyisycal presence, una corsa su una moto con la donna che si ama, l'intellighenzia, la substantia, l'anelito divino del battito del cuore, la canzone, la musicalità, lo sguardo sognante e vivo di un ragazzo, quello riflessivo e profondo di una ragazza donna che ha in sé l'amore che la farà diventare mamma, l'animo puro di un bambino, di un bambino puro, il mondo visto con gli occhi di un bambino, l'amore per un animale, la sessualità sana, vera, sincera, leale "de carne", profonda, i valori, gli ideali.
Tutto questo qui non c'è, c'è oscurità, feticci, blasfemità, vuotezza, miseria umana nascosta dietro un fantoccio falso ed è mirabile quando il regista simboleggia l'antitesi alla vita di Dammon che non sa rispondere alla domanda dell'attore colosso che impersona il paziente detective FBI: "perché continui a mentire?"
e qui la risposta è la vuotezza, il "non lo so" non detto e falso anche come "non lo so" non detto, perché il nostro risponde che tornerà in ospedale. Ma comprendo che questo mio passaggio apparirà farraginoso e incomprensibile a chi visto ancora non ha il film.
Ma è chiaro il concetto perché la moglie opaca, supinamente accettante quasi tutto è Ginger. "Avevamo otto macchine di cui tre non le abbiamo nemmeno mai usate",
qui il bimbo è Damon che rinnega, anche senza volerlo, i genitori. Si pensa ai gioielli ma i gioielli nulla sono, sotto non c'è nulla, non c'è sostanza, solo forma e arrivismo, lo stesso arrivismo simboleggiato dal ciuco che frequenta l'università da raccomandato e senza valore o dal seguace del partito politico. lo sfondo è quello, la motivazione dello sfondo la vuotezza, la mancanza di una linea guida interna all'uomo, di una passione, la mancanza di amore vero.
ed ecco il disordine, la menzogna, l'inganno, il furto, la gelosia camuffata, l'invidia, l'infamia che spingerà il protagonista al vortice auto distruttivo solo per la sua "personalità" malata.
Insomma, a parer mio la pellicola è anche tutto questo, tutto il non detto, come, sempre a parer mio, sono tutti questi quadri sull'America, curati nella sceneggiatura e nella fotografia, perché è chiaro che dietro c'è uno studio sociale e la precisa volontà dell'art director di definire il paese in cui la possibilità d'essere fuori di testa può estrinsecarsi in quel modo preciso, ha il campo per farlo!
E pertanto questo prodotto sconvolge nella riflessione postuma al divertimento, un divertimento scorrevole quanto basta, dipinto a colori e atmosphere in cui riecheggiano gli anni '50, riportati sullo schermo nei '90, ma appunto anni '90 intrisi di forma e poca sostanza.
Il BaFFo promuove.