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SALO' O LE 120 GIORNATE DI SODOMA regia di Pier Paolo Pasolini

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Ciumi     9½ / 10  25/10/2009 12:00:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Difficile contestualizzare l’estrema opera di Pasolini in questo o quell’altro argomento. Ma assilla. Assilla proprio perché estrema. Ed è estrema in primo luogo poiché profondamente colta. Cinema, poesia, politica, sesso, umanità - quale è il termine primo di questa atroce allegoria?
L’iperrealismo - non più neorealismo - simbolico è ciò che di più perturbante sia stato messo su schermo. La villa è l’inferno, i diavoli sono i fascisti, e i dannati giovani figli di partigiani.
Conosciamo bene la posizione politica di Pasolini, ma invero la simbologia dell’opera assurge ad un mero valore artistico: De Sade, Dante sono i vati che accompagnano il viaggio abissale di Pasolini. Il contesto storico è preso a modello d’una condizione universale, nata prima di Cristo (ho in mente “Il vangelo secondo Matteo”), ancora attuale e irredimibile. Non esiste il paradiso, esiste solo l’inferno. Che è la disparità sociale. Ove i potenti sodomizzano i deboli, impongono loro i propri ordinamenti perversi, godono delle stesse aberrazioni atte a punire gli indifesi.
Ed è il sesso, vissuto in maniera problematica dallo stesso autore, l’aspetto che maggiormente viene alterato. L’eros perde il suo valore positivo e acquista una profondissima negatività.

Accompagnato dai racconti di quattro vecchie meretrice, e commentato dalla fallace erudizione delle note del piano - ma la musica si darà al silenzio, tragicamente - in un crescendo di follia, disgusto, orrori e supplizi, il cammino attraverso il cerchio Dantesco trova il suo apice sadico nelle atrocità del finale; che scrutate attraverso un binocolo (un grande espediente che evoca una sfocata visione infernale), non trovano termine - se non nel ballo tra due ragazzi, che riaccendono la musica - e si protraggono in eterno.