jack_torrence 7½ / 10 12/04/2010 16:00:01 » Rispondi Per oltre metà è un grandissimo film. Lo stile, che Audiard padroneggia con assoluta dimestichezza, è contemporaneo come si conviene ai migliori film "verità" che applicano agli stilemi del cinema poliziesco-gangsteristico-carcerario, la lezione ereditata - con particolare riferimento alla rappresentazione della violenza - dal cinema "mainstream" (linea che si diparte da Leone e attraverso Pekimpah e Scorsese arriva all'oggi), però asciugato di ogni patina di spettacolarità e coniugata con quella di un neo-neorealismo "nudo e crudo" (incentrato soprattutto sull'insistenza della camera a mano e di movimenti di macchina che consentono allo spettatore di "stare dentro" agli ambienti). Per molti versi questo approdo stilistico è analogo a quello raggiunto - in particolare con Gomorra - da Garrone (nel nostro autore sono più evidenti alcuni tocchi autoriali, alcune caratteristiche di stile squisitamente personali). L'unica "licenza", rispetto a questo stile, che Audiard si prende - e che si rivela interessante proprio per questo suo essere licenza (anche se forse per altri versi può considerarsi posticcia, non del tutto convincente) - è il ricorso alla presenza "ritornante" del "fantasma" della sua prima vittima.
Ciò che invece non mi ha convinto, man mano che il film procede verso il suo finale, è la progressiva perdita di distanza rispetto al protagonista. Lo spettatore, che pure sin dall'inizio è invitato a convivere con un personaggio centralissimo, vive per buona parte del film un distacco rispetto a costui, che permette di mantenere elevatissimo lo spessore estetico-morale del film (di "denuncia sociale" - anche se l'espressione è riduttiva perché appartiene troppo alla sfera etica e non anche a quella estetica).
Ma questo distacco viene progressivamente eroso. Non scompare mai del tutto (nemmeno con il finale). Ma il film strizza l'occhio al pubblico, che è invitato a parteggiare sempre di più per il protagonista, condividendone l'ascesa come "boss" e la sua emancipazione dal suo primo boss, particolarmente odioso. La distanza indispensabile a mantenere il film su un piano davvero rigoroso viene così svilita, a vantaggio di una parabola che attinge a tratti all'epos. "Il profeta" nel suo complesso tende ad essere un film epico, uno Scarface per intendersi. Non lo dinventa mai smaccatamente, ma ciò lo rende più convenzionale e tende a farlo rientrare nel solco di un genere con coordinate definite cui il pubblico è già abituato da altri archetipi cinematografici.