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IL PROFETA regia di Jacques Audiard

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  06/08/2010 15:57:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il 19enne Malik è analfabeta,non crede in nulla,non ha nessuno al mondo,è come un’ombra fuoriuscita da qualche luogo oscuro.Condannato a sei anni di carcere si troverà da vittima designata a malavitoso rispettato,temuto e libero di portare avanti i suoi loschi traffici.
La sua corrotta formazione avviene proprio nel luogo in cui i criminali dovrebbero essere reindirizzati,aiutati a non perseguire più le vie della delinquenza.La prigione invece diventa liceo di educazione malsana,luogo in cui il protagonista entra come massa informe e senza qualità e ne esce smaliziato,impratichito di un mondo pericoloso che si può domare con le giuste precauzioni.
Malik ha dalla sua non solo una propensione alla cieca violenza,ma la volontà di sopravanzare gli altri facendosi una cultura,ha un’intelligenza vivace che lo porterà ad interagire con le varie fazioni perennemente in lotta all’interno della prigione(identificabili soprattutto in corsi e arabi) e soprattutto un’innocenza di fondo,ravvisabile nel suo sguardo e nella sua disponibilità,che non lo abbandonerà mai nonostante i gravi delitti di cui si macchierà.
La legge del dare per ricevere è il tormentone che accompagna Malik e i personaggi di questo dramma carcerario,il giovane uccide perché costretto ma anche per ottenere.Il fantasma della sua prima vittima aleggerà per sempre su di lui,decisivo punto di non ritorno.
Un simbolismo più che un fardello non rimosso ,il primo omicidio segna l’entrata all’inferno ma anche lo stimolo per progredire in un necessario percorso di istruzione scolastica;ferocia ed erudizione diventano armi letali nelle mani del giovane al quale non è stata data scelta.”Il profeta” infatti parte da un presupposto di assenza di possibilità,da un imposizione che diventa determinante per tutta la vita.
Audiard quindi non nasconde un giusto senso critico vero il sistema carcerario,il suo stile è claustrofobico,spesso con camera a mano mediante la quale riprende da vicino i volti dei protagonisti in inquadrature strette,come a voler far immedesimare lo spettatore,recluso a sua volta tra le anguste mura della prigione.I colori sono smorti,solo quello del sangue sembra rivitalizzare un pellicola dalle tonalità plumbee che non lesina intriganti sperimentazioni sia a livello narrativo che visivo.
In equlibrio tra omaggi agli scritti di Edward Bunker e alla filmografia carceraria in genere un film di ottimo livello che conferma l'attuale vitalità del cinema francese.