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I VITELLONI regia di Federico Fellini

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)     9 / 10  19/10/2012 22:45:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Lavoratoriiiiii! Lavoratori della maltaaa! Prrrr..."

E come dimenticare questa scena entrata ormai nell'immaginario collettivo di tutti gli italiani!
Un Alberto Sordi più vero che mai, la risata è sempre a portata di mano con lui ma per la prima volta, fra risi e sorrisi, riesce a soffermarsi sul suo personaggio da mattatore e inserisce magistralmente un profilo drammatico, profilo abbozzato di quello che più avanti maestri come Rosi, De Sica, Monicelli o Pasolini sapranno definire meglio, specialmente l'ultimo citato. Alberto è definito il bambino che se pur avesse quarant'anni non crescerebbe mai, ma in fondo chi non lo è di questi giovani protagonisti, ragazzini cresciuti solo fisicamente ma ancora con la testa tra le nuvole, cresciuti da genitori forse troppo buoni o forse troppo impegnati nel badare alle ricchezze proprie che li definiscono come appartenenti alla borghesia. Alberto (bambinesco), Riccardo (incallito giocatore), Fausto (il donnaiolo), Leopoldo (l'intellettuale) e Moraldo (giudizioso, tra l'altro una buona prova di Interlinghi), di questi cinque all'inizio sembra non salvarsene uno, l'intellettuale da una falsa idee, è estroverso sì, ma comunica una certa affidabilità, sembra l'unico che pensa al futuro e invece si scoprirà ragazzino come gli altri, qui Fellini è come se ammiccasse allo stereotipo dell'uomo che non ha voglia di lavorare e allora si fa artista. Il solo che durante lo svolgimento del plot matura sembra essere Moraldo, capisce la vita che conduce, e comprende che il mondo è fuori, non è rimanendo tra le alucce di casa che ci si realizza.
Fellini con pennello autobiografico dipinge un affresco molto franco della giovane borghesia di allora, ragazzi nullafacenti mantenuti dai propri genitori ricchi, ragazzi spavaldi fuori ma insicuri dentro, dei bambini che vivono sfamandosi di sogni, illusioni e pacato divertimento. Una condanna felliniana che assume toni compassionevoli e nostalgici.

"Chi non beve con me, peste lo colga." citazione ironica de "La cena delle beffe" di Blasetti, probabilmente non citato a caso..