Alexi_Black 8½ / 10 07/02/2010 14:08:40 » Rispondi Non mi trovo assolutamente in accordo con chi ha accusato questo film di mancata coerenza. Mi sembra che il percorso del protagonista sia definito e consequenziale, e anzi evidente in tutti gli episodi che ne compongono la storia. Il protagonista, di fronte ai problemi che gli si propongono, è incapace di reagire; inizia allora una ricerca, della soluzione, del senso delle sue azioni. La cerca nel lavoro, nella legge, nella religione, ed è più volte deluso, da quest'ultima in particolare; a questo allude l'episodio iniziale nel Qibbutz, che evidenzia il contrasto tra un mondo in cui la religione (e in particolare la lingua della religione, in questo caso l'ebraico) è una componente essenziale della vita, e uno in cui è sempre più uno strumento antiquato e inservibile, e in cui anche i suoi ministri faticano a comprenderla. In questa assenza di punti di riferimento, il protagonista reinvia l'adempimento di tutti i suoi doveri: la decisione in merito al voto dello studente coreano, in merito all'abbonamento del figlio a una rivista di musica, e così via. La chiave di volta del film, il momento essenziale per la rottura di quell'equilibrio è il momento in cui egli stesso DECIDE di agire: pur non capendo la ragione di ciò che gli capita, egli fa una scelta, e quindi dà nuovo avvio allo scorrere delle situazioni.
Questa scelta, d'altra parte, non modifica la risoluzione a cui è destinato: la macchia ai polmoni che il dottore gli comunica è stata fotografata nella visita che apre il film, e quindi c'era già DESTINATO, pur inconsapevolmente, lungo tutto il tempo della vicenda narrata. L'uragano è il fato, la sorte imponderabile: l'uomo non è padrone della fine e del fine della propria vita, ma la sua scelta ha una dignità in sè stessa, in quanto può renderlo partecipante attivo oppure passivo spettatore della propria vita. Questo è Sofocle, eh.