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OCCHI SENZA VOLTO regia di Georges Franju

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Marco Iafrate     9 / 10  28/02/2012 18:44:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Era giovane Mary Shelley, chissà se oltre al Paradiso perduto di Milton a darle l'ispirazione per scrivere Frankenstein abbia contribuito qualche suo difetto fisico. Nel romanzo la giovane scrittrice intravedeva la possibilità di ricreare vita prendendola dove era cessata. Il desiderio di rimediare agli errori della natura accompagna l'uomo da sempre. Rispettando il concetto che "solo alla morte non c'è rimedio" illustri professori e scienziati in tutto il mondo si sono spremuti e si spremono tuttora le meningi nei laboratori nel tentativo di trovare il maggior numero di soluzioni ai molteplici attacchi che la natura, o il destino che lavora per essa, giornalmente opera nei confronti dei poveri esseri umani. Quando non ci sono le malattie a deturpare un corpo sano ci sono gli incidenti, ed è proprio un incidente a stravolgere le fattezze della giovane protagonista di questo semisconosciuto capolavoro. Uno schianto con la macchina guidata da un padre e il volto di una figlia non è più quello di prima, la bellezza lascia il posto all'orrore, la normalità viene sostituita dalla follia. Vedere il viso della propria figlia sfigurato ed esserne la causa, anche se involontaria, sconvolge la psiche del professor Gènessier, bisogna rimediare al danno ad ogni costo. Il percorso scelto dall'uomo per rimuovere quel macigno dalla coscienza è quello che conduce alla pazzia, un' inesorabile escalation dell'orrore descritta da Franju con magistrali chiaroscuri ed atmosfere opprimenti degne del miglior Murnau.
A supporto di occhi che non hanno più un volto interviene un padre accecato dai sensi di colpa, la sua unica ragione di vita è ridare un' espressione a quel viso dilaniato, nascosto dietro una maschera, metafora di vita, parvenza di splendore, in realtà strumento utile soltanto a generare terrore, sublime nella sua bellezza, più orrendo di ciò che copre.
Franju non si risparmia e in alcune scene passa dal terrore nascosto alla sua rappresentazione, le incisioni con il bisturi, i tamponi emostatici, l'orribile volto. Inquieta più la visione della povera ragazza legata sul lettino del tetro laboratorio o il pensiero del motivo per cui vi giace? Il vero orrore, quello che fa star male, non è mai frutto di quello che viene mostrato, la vista del sangue può essere anche sopportabile, la causa per la quale quel sangue viene versato può esserlo molto meno.
Il delirio di onnipotenza del professore, privato della coscienza da un' immane dolore, ad un certo punto è costretto a fare i conti con quello che è l'incubo di tutti gli scienziati e ricercatori: Il rigetto. Con una magistrale sequenza il regista ci fa assistere a ciò che decreta la sconfitta di Gènessier, alla fine di quell'inutile corsa per sedersi al fianco di Dio, la pelle non riconosce il nuovo padrone, a contatto con cellule estranee va in necrosi, la giovane Christiane è costretta ad un nuovo intervento chirurgico e a nascondersi di nuovo sotto la maschera.
Il terrore e la morte sono i compagni fedeli di Christiane per tutta la durata del film, chiusa nel suo limbo ne avverte costantemente il respiro, con la morte ci convive servendosene anch'essa prima, e provocandola poi, consacrando l'ormai totale disprezzo della vita, una discesa all'inferno inevitabile. Non bisogna sfidare le leggi della natura.