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MY SON, MY SON, WHAT HAVE YE DONE regia di Werner Herzog

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Ciumi     8 / 10  14/02/2011 12:00:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dalla tragedia greca, Hybris, il desiderio di superare i limiti dell'esistenza, dove Brad è l'eroe, che colpevole di questa arroganza, è condannato all'angoscia e alla sofferenza. Ma ribaltando il concetto di colpa: l'uomo che soffre prova a superare questa condizione ingiusta, e si fa folle.
Il mondo per Brad diventa un grande teatro, centro di discussione e di rito, luogo di purificazione. Ogni posto può diventare quello giusto, e ogni cosa, da una spada a degli occhiali, da una palla da basket a dei cuscini, un oggetto sacro; e due fenicotteri "sono le mie aquile travestite". Serve però la catarsi, che il pubblico s'immedesimi e provi terrore. Serve, dunque, l'atto centrale, per cui tutti gli altri sono stati preparazione: attraverso il matricidio, egli lancia, in qualche modo il suo grido agli dei: i monti mi guardano, dice, e le nuvole, e tutto il mondo mi guarda.

Certo, è chiaro come Brad non sia davvero l'eroe di una tragedia greca: è il figlio depresso di una madre opprimente, che lascia la sua palla su un albero, al bordo di una strada, perché venga a raccoglierla un bimbo sereno. Ma in quella follia Herzog, come aveva fatto altre volte, come nel bellissimo "Grizzly man", ne sa osservare le ombre, l'ombre illuminate, il buio della mente, la stanza buia che spiega meglio i quartieri assolati, il rosa dei fenicotteri, il rosso del sangue.
Per tematiche, più complesso di quanto possa sembrare, è un suo film a tutti gli effetti; seppure si noti qualche sfumatura Lynchiana nelle atmosfere visive (due visionarietà che s'incontrano), nel racconto psicologico, in una certa teatralità patetica nuova per Herzog, ma senza che tutto ciò ne alteri la sostanza, a mio parere.