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LA ZONA MORTA regia di David Cronenberg

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amterme63     8 / 10  01/10/2010 18:54:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Incastrato com'è fra "Videodrome" e "La mosca", "La zona morta" ha sofferto molto della vicinanza di questi due capolavori. Tra l'altro è un lavoro piuttosto insolito per Cronenberg: non si straborda nell'immaginario, non ci sono scene che illustrano mutazioni fisiche o mostruosità, il sesso è del tutto assente. Tutto si svolge con ritmo pacato, lento, privilengiando la sensazione di svolgimento banale, normale, quotidiano. L'eccezionalità della storia non avviene esteriormente ai personaggi, ma racchiusa nell'interiorità del protagonista, nella sua mente. E' lì che si annida l'estremo, l'imponderabile, l'inquietante e lo sconosciuto. Non è un virus, una mutazione fisica, ma un normale recesso di quell'universo sconosciuto e pieno di sorprese che è il cervello umano nelle sue normali funzioni.
L'unico film precendente con cui si può fare un paragone è forse "Scanners". Anche lì la forza pericolosa veniva da dentro la testa umana. E' comunque una coincidenza puramente esteriore, perché in "La zona morta" l'accento non è sulle conseguenze materiali di tale forza misteriosa, ma sui contraccolpi psicologici ed etici che ha sull'animo della persona che ha la (s)fortuna di possederla.
Inoltre in questo film si cerca di evitare qualsiasi spettacolarizzazione o celebrazione del personaggio "speciale". John è ritratto come una persona banale, normale, prosaica, fin troppo ligia e rispettosa, a volte quasi insignificante. Tutto il suo mondo è la poesia, il rapporto interiorizzato e isolato. E' un anti-eroe in piena regola. La sua "purezza" e rigidità etica non viene premiata, in quanto Sarah, la sua donna, non regge all'attesa dei 5 anni in cui è ridotto in coma da un incidente stradale e lo abbandona per un altro uomo. Perché lo abbia fatto non viene mai spiegato, neanche lei stessa cerca di scusarsi. Sarah è un altro personaggio che avvalorerebbe la tesi della misoginia di Cronenberg.
Del resto in tutto il film i personaggi non vengono "spiegati" o analizzati in profondità ma tratteggiati velocemente con poche scene esemplari che mostrano sinteticamente il tipo di persona con cui si ha che fare.
John non sente quindi il dono di poter vedere (e di cambiare) il futuro come una fortuna, una ricchezza da sfruttare. Lo sente invece come un peso, una condanna, un dolore, un fastidio. Del resto il suo approccio verso la vita è di tipo esistenzialista: distaccato, fatalista, pessimista; la morte non è un avvenimento disastroso ma semplicemente naturale e quando viene, viene.
L'educazione puritana e religiosa (Cronenberg tratteggia molto bene questo tipo di ambiente in cui si svolge il film) ha lasciato però il segno nel suo animo e quindi non può fare a meno di sentire il richiamo del dovere etico verso gli altri e l'umanità in generale. Cerca sempre però di farlo in maniera discreta ed antieroica.
Si arriva così al crucialissimo dilemma etico del finale.
Il film è tratto da un romanzo di Stephen King: un americano, e si vede. L'uso della violenza a fin di bene o della giustizia fai-da-te è sempre stata un'ossessione e un tema dibattutissimo anche nel cinema. Il tutto sta a capire quando è necessaria e giustificata e quando no. King/Cronenberg sembrerebbero giustificare eticamente questo uso in casi di utilità estrema. La scena finale è l'unica in cui John viene in qualche maniera celebrato ed eroicizzato. Cronenberg, rispetto al romanzo di King, assolutizza e nobilita ancora di più il potere soprannaturale di John, in quanto riduce al minimo i dubbi e le incertezze sulla veridicità delle visioni che esistevano invece nel romanzo (la zona morta è un'area grigia nelle visioni del protagonista in cui non si sa cosa ci sia – nel film se ne fa solo un fugacissimo accenno).
Non così nel comunque inferiore film di Spielberg "Minority Report": a parte la spettacolizzazione del fenomeno, alla fine veniva messo in dubbio e abbandonato per la più salutare incertezza. In estremo contrasto ci sta poi il finale di "Nashville" di Altman, dove lo stesso atto assume un significato diametralmente opposto.
Se non altro con questo film Cronenberg dimostra di essere un regista completo, che riesce a padroneggiare qualsiasi script e a tirarne fuori immagini e situazioni molto forti e coinvolgenti, pur utilizzando uno stile "classico".
Una nota di merito per Christopher Walken: veramente un grande attore.