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AMABILI RESTI regia di Peter Jackson

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Borg     8½ / 10  20/03/2010 14:39:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
OCCHIO AGLI SPOILER!

Sì, avevo paura. Puoi dire quanto vuoi che vivi la passione del cinema in modo viscerale e personalissimo, contemplando solo e soltanto le emozioni e gli stati d’animo che un particolare film scatena nel tuo essere, ma quando iniziano ad accumularsi pareri non proprio lusinghieri su un’opera che attendi fortemente e per di più del regista contemporaneo che più apprezzi e stimi, qualche preoccupazione si manifesta. E pure un po’ di sconforto.
Capita però che film accolti in modo generalmente trionfale non suscitino in te grandi impressioni, e ti chiedi un po’ sorpreso dove si trovino le ragioni di tutto questo giubilo. Semplicemente capita. E ti rode in particolar modo quando un film atteso è vittima di questo processo. Sì, semplicemente ti rode.
Grazie al cielo l’onesto appassionato spesso viene salvato anche da processi esattamente opposti, e così si ritrova tutto gongolante con un film che reputa bellissimo e straordinario, nonostante lo scenario generale (che poi di fatto generale non è, trattandosi di un numero non ben definito di utenti che rilasciano commenti variegati, dai quali viene estratta una percentuale generica che talvolta, molto pericolosamente, finisce per acquisire un valore assoluto che vizia e sobilla i pareri di alcuni spettatori dell’opera filmica) si esprima in modo tutt’altro che unanimemente favorevole.

Ah, sì, ovvio, per “Amabili Resti” di Peter Jackson il sottoscritto è stato testimone lietissimo di questo particolare processo. E ne sono uscito così soddisfatto che in un primo momento la mia mente, incapace di darsi una spiegazione per l’accoglienza piuttosto dura riservata al film, è stata capace di produrre pensieri maliziosi, del tipo “ma non sarà che si tratta soltanto di quella oscura necessità perversa di veder cadere a tutti i costi chi occupa una posizione in qualche modo di rilievo?” Il piacere di dire “anche Jackson si è perduto, ha perso lo smalto, non è più quello di prima e con questa roba è proprio caduto in basso!”.
Per fortuna, ripeto, trattasi di pensieri maliziosi e un po’ paranoici, e quindi attendibili soltanto in parte minima. Almeno credo...
Ovvio, esisterà chi non ha mai apprezzato veramente il cinema di Jackson e amen: questo film, meno che mai, riuscirà a far cambiare idea.
Il problema è che sembra aver deluso anche alcuni appassionati. Non so, è possibile che l’opera appaia così caleidoscopica, così ricca di strati, di materiale visivo ed emotivo cangiante e variegato, così inafferrabile e instabile nella sua contaminazione continua di generi e suggestioni, che sia sembrata fin troppo insolita anche a chi si aspetterebbe, da Jackson, lavori simili. Forse hanno visto una struttura precaria, confusa, pasticciata, laddove c’era il tentativo di trascrivere con la narrazione filmica un romanzo che è fatto davvero di “amabili resti”, di pezzi, di emozioni, di risvolti narrativi di varia fattura, che a volte si intrecciano in maniera sublime e struggente ma altre volte ancora non centrano affatto il segno e appaiono decisamente sbiechi. Romanzo difficile (non solo per le tematiche delicate che affronta ma anche, ripeto, per i suoi disequilibri) e di difficilissima trasposizione, uno scritto del quale ho sentito commenti anche molto trancianti (adesso sembra di vedere soltanto grandi e integerrimi estimatori della versione cartacea in opposizione alla riuscita di quella di celluloide), immagino quindi che le reazioni contrastanti per il film non siano poi così impreviste e dietro ad esse potrebbe nascondersi la prova del valore di ciò che è riuscito a tirar fuori Jackson assieme ai propri validissimi collaboratori.

Ho trovato la pellicola bellissima, estremamente potente a livello emotivo, e ciò che più mi ha conquistato è il modo in cui Jackson “decifra” per immagini la parola scritta, filtrandola con la sua particolarissima e intensa ispirazione. Si muove tra le insidiose e frattali pieghe del libro con l’impeto di un musicista jazz, riuscendo a creare armonie impreviste quanto suggestive. La sua tecnica è ineccepibile e porta a compimento un affresco immaginifico, coraggioso, folle, allucinato, pulsante e colmo di emozioni così intense che ti fanno fremere le viscere.
Ho adorato anche l’aldilà, con il suo immaginario pop e surreale. Un mondo, come ha espresso lo stesso Jackson che “riflette le emozioni di Susie. Si modifica a seconda del suo stato d’animo, rispecchiando totalmente il suo amore e la cultura da cui proviene. E’ fatto di momenti idilliaci e di momenti oscuri.”
L’aldilà di Jackson è stato sovente criticato, accusato di essere troppo kitsch e sopra le righe. Non so, mi sembrano posizioni un po’ strane. Parliamo di una realtà quasi onirica che prende corpo dal mondo interiore di una ragazzina, se c’è il kitsch è un kitsch necessario e deliberato, accolto ancor meglio se pensiamo a quanto il regista sappia renderlo così meravigliosamente lirico (e in questo è aiutato da una colonna sonora splendida ad opera di Brian Eno). Sì, Peter Jackson sa rendere bello e significativo ciò che dovrebbe apparire brutto, non me ne stupisco, visto che aveva fatto lo stesso visualizzando il Quarto Mondo di “Creature del Cielo”. Ok, a volte sembra perdere l’autocontrollo e pare inopportuno, ma il suo è un entusiasmo fanciullesco, lo stesso che sembra riflettersi nei giochi sfrenati della piccola protagonista nel suo personalissimo aldilà. Non riesco a condannare del tutto Peter Jackson neanche quando sbaglia, ci trovo sempre genuinità ed onestà nel suo operato.
Hanno fatto paragoni con la dimensione ultraterrena di “Al di là dei sogni” del conterraneo Vincent Ward? Forse è vero, concettualmente, e talvolta visivamente, sono ambienti fantastici simili, ma mi sento di puntualizzare che il Cielo di “Amabili Resti” va al di là (dei sogni?) di “Al di là dei sogni”, e laddove Ward si perdeva in un uso melenso e bolso del paesaggio surreale, Jackson ci restituisce uno stupore vero e palpitante che sgorga da emozioni vivide, e che colora i sogni lucenti e spaventosamente oscuri della protagonista.
Trovo assolutamente geniali alcuni passaggi, in particolare le soluzioni registiche adottate per passare dal Cielo di Susie al mondo reale, soluzioni creative e sorprendenti in cui la perfetta fotografia di Andrew Lesnie ha un ruolo fondamentale.
Quante sequenze mi sono rimaste ferocemente impresse, quasi ne perdo il conto: l’inizio, dolcissimo, con la palla di vetro.
La prima visione dell’assassino alle prese con il suo impulso irrefrenabile che lo spinge a creare trappole per le vittime.
Il bacio mancato tra Susie e Ray Singh, in cui Jackson mostra tutta la sua sensibilità per un meraviglioso momento romantico.
L’incontro tra la protagonista e il suo assassino sul campo di granturco e la successiva scena, insostenibile per tensione, nell’inquietante stanzetta sottoterra.
La fuga di Susie che, progressivamente, assieme allo spettatore, intuisce di essere morta, ma non prima di aver ritrovato George Harvey nella vasca da bagno (così osceno, depravato, turpe), ancora lercio di sangue e fango. Una parentesi spaventosa, quasi horror, la cui energia suggestiva è amplificata da uno scenario inverosimile e disturbante.
L’approdo nel Cielo, le reazioni della famiglia alla scomparsa della figlia, quest’ultima che non vuole accettare la propria morte, navi in bottiglia giganti che scivolano sul mare fino a spaccarsi sulla costa, contemporaneamente al gesto disperato del padre nel suo studio (una delle visioni più incredibili e potenti).
L’esplorazione di Susie della casa (in versione ultraterrena) di mister Harvey, in cui scopriamo di quanto sangue si siano macchiate le mani dell’assassino. Dietro ogni angolo, in fondo ad ogni scala passaggi che mostrano i luoghi e le vittime degli omicidi (altra prova registica fantastica).
Il padre che scopre la colpevolezza di Harvey, un gioco di montaggio acuto e intensissimo in cui sottili e moderate interpretazioni si caricano di tensione e nervosismo fino all’inevitabile esplosione.
L’ossessione che porta il padre ad una fine quasi fatale nell’altro gran momento sul campo di granturco (Susie costretta a vedere inerme, ingabbiata nella sua dimensione e dalle assi del gazebo, l’amato genitore massacrato di botte).
La suspense hitchcockiana, stupendamente costruita, che riesce a regalare la scena di Lindsey in cerca di prove nella tana del lupo.
Il finale con la protagonista e le altre vittime di Harvey sul confine del Cielo, commentato dalla bellissima “This mortal coil-Son to the siren” (un momento struggente, di una poesia pazzesca. Ho visto il film due volte e due volte, qui, ho pianto come una povera nonna)...

Jackson ha raggiunto un nuovo livello e si è superato, ha fatto addirittura meglio che in “Creature del Cielo”, altro suo gioiello di intimismo e immaginazione.
Credo davvero che ci siano poche sbavature, alcune delle quali sono esattamente i punti deboli che presenta il libro, come ad esempio l’ultima scena con Susie e Ray. Una brutta caduta di stile che il regista poteva gestire meglio e in modo più sfumato, meno diretto. Allo stesso tempo, però, non posso non riconoscere a Jackson il merito di aver fatto un’operazione di pulizia del romanzo, soprattutto dei passaggi più bolsi e sbilenchi. Asciugando è riuscito a coglierne l’essenza, celebrandola con le sue eccezionali doti visionarie, con la sua capacità innata di far sbocciare ogni personaggio con delle semplici pennellate, con dei colpi di colore di squisita grazia.

Grande cast, diretto in modo esemplare, spiccano ovviamente la bravissima Saoirse Ronan e Stanley Tucci, così calato in questo uomo grigio, solitario, anonimo e apparentemente innocuo che cela e sfoga, tra le pareti della sua dimora e delle sue trappole, rituali autistici e pulsioni omicide irresistibili.

Ma è un peccato che un film di tale fattura sia stato malamente accolto. Immagino, e spero, che possa rifarsi col tempo, come tutte le opere insolite ma rigogliose, che ad una prima visione son capaci anche di spiazzare e perplimere facilmente...
Grazie Sir Peter Jackson, che film sorprendente ci hai donato, dinnanzi al quali scompaiono perfino le meraviglie digitali, ma generalmente un po’ fatue (un po’ e non sempre, dai!), di “Avatar”...

Peccato che gli Oscar (nomination di Tucci a parte) si siano grandemente dimenticati del film. Dopo “UP”, secondo una personale classifica del sottoscritto, “Amabili Resti” avrebbe dovuto occupare la posizione, perlomeno a pari merito con “Nel paese delle creature selvagge”, altro grande snobbato d’infinito pregio...
Invia una mail all'autore del commento Caio  22/03/2010 11:09:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ah che bello! Qualcuno a cui sia piaciuto! Purtroppo me lo sono perso nelle sale, ma dopo il tuo commento non esiterò ad affittarlo in dvd appena uscirà! :-)
F. Moro  06/06/2010 14:47:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
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