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IO SONO L'AMORE regia di Luca Guadagnino

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isaber     5½ / 10  17/08/2011 14:13:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo è uno di quei film che non possono essere stroncati all'unanimità perchè oggettivamente "brutti", né lodati perchè oggettivamente "belli". Questo è un film che può conquistare o che si può odiare. La critica si è infatti trovata divisa. Con tre nomination ai premi Alabarda d'oro 2010, vince come miglior regia, esaltato dalla stampa anglossassone a Venezia da noi ha avuto un'accoglienza contrastata, stroncato da molti, lodato da alcuni. Per quanto mi riguarda, l'etichetta di capolavoro e l'accostamento a Visconti sono assolutamente fuori luogo per questo film poco riuscito.
Luca Guadagnino è al suo quinto lavoro: all'attivo conta un esordio bocciato (The Protagonist, 1999), una commediola giovanile (Mundo civilizado, 2003), un documentario su un famoso chef italiano (Cuoco contadino, 2005) e il disastroso adattamento del romanzo 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (Melissa P., 2005). Partendo da un suo soggetto, scrive la sceneggiatura con tre collaboratori (I. Cotroneo, B. Alberti, W. Fasano) ed è incredibile che ci siano volute ben quattro persone per produrre una sceneggiatura così debole. Il tema di base è buono, anche se non particolarmente originale: il solito cliché di una grande famiglia, per di più molto facoltosa, che nasconde sempre, dietro al lusso e alla perfezione, delle crepe. L'elemento destabilizzante qui è rappresentato da Emma, la moglie che viene dalla Russia, quindi un outsider rispetto all'ambiente della borghesia milanese, che rappresenta l'esotico. Mentre il figlio Gianluca è simile al padre, Edoardo ed Elisabetta hanno in sè i germi dell'estraneità della madre. Edoardo lo dimostrerà sia con l'amicizia con Antonio, che non appartiene al suo ambiente, sia con un forte attaccamento alle radici della famiglia, l'azienda, opponendosi alla sua vendita a un compratore straniero. Elisabetta, più radicale, deciderà di vivere la sua omosessualità trasferendosi a Londra e studiando per diventare artista.
Emma porta il suo ruolo di moglie e madre come una maschera: molte scene sono dedicate all'atto della vestizione, gioielli compresi, che altri faranno per lei quando la donna abbandonderà la volontà di travestirsi per il suo ruolo. Emma racconta: "quando sono arrivata qui per me c'era troppo di tutto, per le strade, nei negozi, ho dovuto imparare ad essere italiana", il che indica che la donna, in qualche modo, ha soppresso la sua vera natura, il suo vero io, per diventare la buona moglie di un facoltoso industriale. (Emma non è neppure il suo vero nome, glie l'ha dato Tancredi). La predisposizione del personaggio a questo suo contatto con un passato più vero ed autentico si esplicita soprattutto nell'atto del cucinare, cosa che lei adora fare ma che la schiera di domestici al servizio della famiglia non rende necessario. Il cibo ricopre un ruolo particolarmente importante: è proprio assaggiando i piatti preparati da Antonio che Emma inizierà a provare delle sensazioni nuove, o piuttosto a ritrovarne delle vecchie. Tutto questo la rende particolarmente soggetta ad entrare nella sfera di attrazione di Antonio, l'altro outsider della storia. Di estrazione certamente più umile, il ragazzo cucina con passione e talento e coltiva la sua verdura in un terreno a San Remo. Il suo sogno è quello di aprire un ristorante immerso nella natura ("le persone dovranno arrampicarsi per mangiare i miei piatti"). Il tema dell'individuo portatore di passione che arriva a sconvolgere l'equilibrio di una famiglia bene fa pensare inevitabilmente a Teorema (Pasolini) anche se qui l'unica ad esserne turbata è la moglie. Il fatto che la donna lo incontri per la prima volta da sola mentre si trova a San Remo a passeggiare ed è incantata ad ammirare una costruzione che le ricorda la sua patria (lo sguardo scivola con continuità dalla chiesa al ragazzo che passa per strada) suggerisce un collegamento tra il richiamo alle radici e il richiamo alla passione. Il collegamento a un certo punto è sufficientemente chiaro, suggerito dall'estasi in cui Emma entra assaporando i piatti, dalla sua propensione per la fisicità (abbraccia e bacia molto spesso i figli) e dallo sforzo con cui invece indossa i suoi panni e i gioielli, e dal momento in cui Antonio le taglia i capelli liberandola da quella crocchia che simboleggia il suo essere borghese.

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Il colpo di scena finale arriva troppo puntuale proprio nel momento in cui serve. Il finale, a questo punto l'unico possibile, è rovinato da una musica invadente che vorrebbe caricare maggiormente la drammaticità di una scena, il suo essere l'estremo punto di rottura che lo spettatore ha tanto atteso, ma che, tirata troppo per le lunghe, lo fa attendere solo la fine.
Se invadenti risultano le musiche di John Adams, molto curata è la fotografia di Yorick Le Saux, che mostra tutta la magnificenza di una Milano innevata e della splendida Villa Necchi Campiglio. Un buon materiale sprecato insomma, come sprecati sono i, di solito, bravi attori: prima di tutti l'inglese Tilda Swinton (Emma), e la nostrana Alba Rohrwacher (Elisabetta). Antonio è interpretato da Edoardo Gabbriellini, solitamente utilizzato da Virzì per parti secondarie, qui alla sua prima prova in un ruolo più centrale. Volto interessante quello del giovane Flavio Parenti, qui Edoardo.