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IL CANTO DELLE SPOSE regia di Karin Albou

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9 / 10  24/01/2010 17:45:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ed ecco l'ennesima piccola grande perla proveniente da una regista donna: la quarantenne francese di origine tunisina Karin Albou che firma anche la sceneggiatura; dopo il notevolissimo "Viola di mare", questo "La città delle spose" segue a ruota affrontando temi spinosissimi come l'adolescenza, il razzismo e la guerra con una capacità di introspezione e di scavo psicologico tutta femminile.
La vicenda riporta in superficie il dramma vissuto in Tunisia (e in altri Paesi del Nord-Africa) dagli ebrei ivi residenti, vittime della propaganda nazista. Il tutto però complicato dall'appoggio che il Terzo Reich dava ai regimi arabi contro il "nemico sionista" e dalla presenza delle potenze colonizzatrici schierate contro la Germania (su tutte il Regno Unito) o divise al loro interno (era il caso della Francia, ufficialmente rappresentata dal Regime collaborazionista di Vichy). Dulcis infundo, la stessa comunità ebraica, come già denunciato da Hannah Harendt ne "La banalità del Male", collaborava col regime nazista fornendo delle vere e proprie liste di proscrizione nella illusione di poter almeno salvare i "migliori", cioè le élites.
Tutta questa matassa aggrovigliata viene dipanata con lucida profondità e con appassionata partecipazione emotiva dalla regista franco-tunisina attraverso la storia bellissima e coinvolgente della stretta amicizia tra due ragazzine, una ebrea e l'altra araba. Ogni aspetto psicologico ed emotivo viene scandagliato senza reticenze mentre la macchina da presa resta sempre al livello delle protagoniste mostrandoci il progredire dell'orrore dalla parte della popolazione povera che subiva i tragici eventi.
La regista è particolarmente brava a descrivere quanto il veleno della diffidenza verso l'altro/a e del razzismo riesca a scavare nelle coscienze e nei comportamenti delle persone. Ed è ancor più incisiva nel mettere in parallelo la condizione comunque subalterna delle donne sia tra gli ebrei che tra gli arabi attraverso l'incedere sui riti matrimoniali di entrambe le tradizioni (di rara crudezza la sequenza della preparazione "secondo rito orientale" della sposa ebrea, per esempio; grevissima quella iniziale della promessa di matrimonio della sposa araba) oppure evidenziando la sostanziale ignoranza di entrambe.
I maschi, quando non dormono, o compiono atti gravi di violenza o di tradimento, oppure sono capaci di altissimi atti di eroismo o semplicemente di dialogo e di rispetto: toccante il momento in cui il padre della ragazza araba le fa scoprire le parti più aperte e universalistiche del Corano, a lei nascoste dall'integralismo del fidanzato; o ancora, il rispetto che entrambi i novelli mariti hanno per la verginità delle loro rispettive spose nella prima notte di nozze.
Il finale, nella sua altissima drammaticità, è un grandissimo messaggio di tolleranza, anch'esso, non a caso, affidato e condotto dalle due protagoniste, ormai giovani donne.

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La fotografia lucida, scura e azzurrina che accompagna tutto il film ci restituisce in pieno il clima arabo-mediterraneo della Tunisi del 1940 e la sostanziale purezza e profondità dei rapporti umani che si intrecciano nel film, mentre una nota di particolare merito va alla colonna sonora con una monumentale Nina Hagen utilizzata per descrivere i momenti più drammatici della vicenda altrimenti scandita dalle nenie e dalle melodie festose dedicate alle spose composte da François-Eudes Chanfrault. Come in "Viola di Mare", un interessante uso diacronico del rock (nel caso di specie ulteriormente contaminato dal melodramma) che ci suggerisce l'attualità del messaggio e una nuova visione dell'adolescenza, lontana dagli artificial-artificiosi loft del "Grande Fratello" che vorrebbero mostrare la realtà, ma molto più viva e realistica se filtrata attraverso la sensibilità della finzione. Assolutamente da vedere e da discutere.