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GOSFORD PARK regia di Robert Altman

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amterme63     7½ / 10  18/06/2009 23:48:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Forse ad Altman non era bastato mostrare come il mondo attuale non sia altro che una specie di gigantesco mosaico di microcosmi individuali, dove imperano le divisioni, sia sociali che sentimentali, dove tutti sono schiavi di usi e convenzioni che falsano i comportamenti e strozzano le vite interiori (America oggi).
Con “Gosford Park” ha voluto far vedere che forse questa situazione è sempre esistita, è probabilmente parte integrante del DNA della società umana. Lo ha fatto applicando il suo sguardo induttivo, parcellizzante a una vicenda che si svolge nell’Inghilterra dei primi decenni del Novecento; l’Inghilterra di Lawrence e Forster, presente in tanti film di Ivory.
Le similitudini con i film di Ivory si fermano però alle scenografie (stupende e molto curate). In Gosford Park l’accento è posto soprattutto sulla divisione sociale netta che c’era allora fra persone nobili o altolocate e le persone “semplici” (domestici, braccianti, lavoratori). Questa barriera viene messa in evidenza di continuo nel film. Le persone vengono prese non per quello che sono, ma per il ruolo sociale che ricoprono. Le convenzioni dominano così incontrastate e indiscusse.
La parte alta è quella che domina, in tutti i sensi. Si sentono in diritto (per tradizione, per uso) di comandare, di farsi servire, di non lavorare e di “apparire” esteriormente come “migliori”, come “dominanti”. Hanno creato tutta una serie di regole sociali ed esteriori ferree che puntellano il loro dominio, ma di cui loro stessi cadono vittime. La loro vita etica e sentimentale viene sacrificata alla lotta per non sfigurare di fronte a queste apparenze capestro. Si diventa ipocriti, cattivi, cinici (ma esteriormente curati, gentili e di belle maniere) pur di ottenere considerazione e soprattutto i soldi. Puoi nella segretezza della propria vita privata ci si può lasciare andare a qualsiasi tipo di vizio, facendo così imperversare il gioco del pettegolezzo che vede ognuno sia vittima che carnefice.
La parte inferiore subisce e addirittura assorbe e imita la deleteria filosofia della parte superiore. Vige anche qui una specie di scala di gradi da rispettare. Addirittura ognuno prende il nome del proprio padrone. Qui le convenzioni diventano ancora più assurde. Pure nei gradi inferiori c’è il dualismo apparenza-sostanza. Si cerca di apparire bravi, servizievoli, efficenti ma poi si scoprono vizi e debolezze, la vera personalità che alla fine comunque affiora. Tutto questo solo per poter sopravvivere materialmente.
Per fortuna ci sono delle persone che cercano di limitare al massimo l’influenza deleteria delle convenzioni, privilegiando al massimo il rapporto diretto e sentimentale; oppure chi si ribella apertamente e accetta di pagare a testa alta il caro prezzo (la privazione materiale) dell’indipendenza. Nella prima categoria c’è il personaggio di Novello, gentile, buono, cortese, sincero, tutto grazie al dono naturale e senza pretese dell’arte. Nella servitù invece c’è la giovane neo-cameriera. Un personaggio pieno di buoni sentimenti, di giudizio, di equilibrio, il personaggio più pulito del film.
Nonostante il grande affollamento, l’incrociarsi di storie e caratteri, ognuno resta alla fine solo con la propria vita. Quello che manca, quello che non riesce è la riunione interiore fra le persone. Non si riesce a superare le barriere (più che sociali, sentimentali), a esprimere i propri sentimenti, che siano di tipo amoroso o filiale. La conclusione triste è che il mondo è fatto di tante monadi non comunicanti fra di loro. Ieri come oggi.
E’ un film perciò bello da vedere, molto interessante come significato. Peccato che sia a volte un po’ monotono e che abbia dei momenti di stanca. Capisco che possa anche annoiare.