caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA regia di John Boorman

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
amterme63     7½ / 10  03/12/2009 23:32:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bello e ben fatto. L’ambientazione naturale è veramente bella, ma questo va quasi da sé. Ripreso quasi tutto in esterni e occorre dire che è stato fatto un lavoro egregio, visto che le risprese non dovevano essere facili. I posti poi sono molto suggestivi.
I temi del film sono tipici del cinema americano anni ’70: lo sfatamento dei miti (in questo caso quello della “frontiera”, dell’esaltazione della natura selvaggia e della vita all’aria aperta) e l’eterno dibattito fra diritto e crimine, il sottile confine fra difesa personale e rispetto delle norme codificate.
Secondo me la tematica ha il sopravvento sulla storia e sui personaggi e questo rappresenta sicuramente un difetto. Ne risente la sceneggiatura che non sempre si mostra coerente; ma soprattutto i personaggi che sembrano fatti apposta per incarnare un’idea, un atteggiamento e non sono molto approfonditi. Evidentemente contava di più far passare un certo messaggio, stimolare una certa riflessione, piuttosto che rappresentare un pezzo di vita il più fedele possibile al reale.
Che sia un film di “pensiero” oltre che di avventura, lo dice subito l’introduzione, che lamenta la fine della natura selvaggia e incontaminata a favore della civilizzazione (la costruzione di una diga). Il resto del film si svolge quasi con ironia rispetto a questa considerazione iniziale. E’ un invito a non idealizzare troppo.
I protagonisti sono amanti di questa natura incontaminata e la vorrebbero vivere, ma quante le sorprese negative a cui andranno incontro. Intanto sottovalutano i pericoli e si dimostrano abbastanza impreparati. Affrontano l’impresa con troppa sufficienza e senso di superiorità. La loro boria viene “punita”. La loro discesa del fiume diventa la discesa ai gradi più estremi della sopravvivenza e farà sentire loro la debolezza dell’uomo di fronte alla natura e di fronte a se stesso.
L’ambiente selvaggio infatti non è poi così idilliaco. Chi ci vive è mostrato come brutto, sporco, incivile, ritardato o addirittura depravato, sceso ai gradini più bassi, quasi animalesco. E’ la parte meno credibile e più forzata del film, anche se può avere comunque un briciolo di verità.
I quattro protagonisti (belli, puliti, civili) hanno diversi atteggiamenti, tutti mostrati come esemplari. Lewis è una specie di Rambo, atletico e virile, si sente superiore a tutti, natura compresa. Anche a livello etico, non si fa scrupoli: se occorre uccidere, si uccide senza tanti patemi. All’estremo opposto c’è Drew, gentile, comprensivo, umile, amante dell’arte. Lui rappresenta il disinteresse, la fedeltà assoluta alle regole, la coscienza a posto. In un ambiente del genere è quello che è destinato per primo a perire e lui stesso quasi se ne rende conto, in pratica si autodistrugge. Poi c’è il grassone, di cui non ricordo il nome, che incarna la “pecoraggine”, il pensiero comune, il seguire quello che fanno gli altri senza porsi tanti quesiti. Infine Ed, il personaggio più vario e complesso, quello in cui il regista vuole che lo spettatore si identifichi. Infatti è lui quello che si troverà alle strette, a dover fare delle scelte cruciali. Intanto parte da un atteggiamento pacifico e rispettoso, poi in pratica arriva a “giustificare” il crimine vistosi in pericolo, per poi accorgersi dell’accecamento e dell’abbrutimento interiore che produce il senso di insicurezza e di pericolo. Per opportunismo si piega al compromesso ma la sua coscienza non gli dà pace.
Il senso è chiaro: è comprensibile e quasi necessaria la “giustizia da soli” anche se non è eticamente corretta.
Rimane alla fine comunque la convinzione che il posto dell’uomo è nel mondo delle regole, della “civiltà”, dell’anti-natura. Non c’è più spazio per fughe, per idealizzazioni, per ritorni a “stati di natura”.