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BE HERE TO LOVE ME: A FILM ABOUT TOWNES VAN ZANDT regia di Margaret Brown

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K.S.T.D.E.D.     9 / 10  17/12/2009 18:21:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Aloneness is a state of being, whereas loneliness is a state of feeling. It's like being broke and being poor." (T. Van Zandt)

Townes Van Zandt è stato un cantautore che artisticamente ha vissuto su dei livelli riservati a pochi artisti, davvero pochi. Dei livelli così esclusivi da essere nient'altro che zone desertiche in cui ci si muove soli con se stessi e con la propria musica; forse solo ogni tanto si ha un contatto con qualcuno o qualcosa, come l'ombra in lontananza di altri artisti di pari livello, anch'essi costretti a vagare*, e anch'essi soli con la loro musica. Si sta parlando, per intenderci, della "Tower of Song" di cui scrive Leonard Cohen in una delle sue canzoni più belle, una torre a cui si accede con una sorta di tacito accordo per cui il prezzo di una musica sublime, nonché della protezione di quest'ultima, è la rinuncia a tutto il resto:

"There was a point where I said 'I can do this. But it'll take blowing everything off. Family, money, security, friends. Blow it off. Get a guitar and go' " (T. Van Zandt).

Il ritratto che vien fuori dalle pennellate calde e malinconinche (dettagli - non solo sulle facce dei protagonisti, ma anche su oggetti che ben inquadrano il Sud e ne trasmettono l'anima -, primi e primissimi piani) di una bravissima Margaret Brown, è quello di un artista pieno di ferite che continuano a sanguinare, dovute non a qualcuno o qualche avvenimento particolare, semplicemente ferite interne con cui Van Zandt ha avuto a che fare ogni attimo della sua vita. Ferite contro cui non sempre è riuscito ad avere la meglio, come quando si è lanciato nel vuoto dal quarto piano per poi subire l'elettroshock al fine di rimuovere quei pensieri e quei ricordi che manovravano questa sua tendenza suicida. Townes si è quindi trovato ad avere un "buco nero" al posto della sua infanzia/adolescenza, che ha poi contribuito ad accentuare il suo modo di essere. Significativa, a tal proposito, è la storia raccontata da un suo amico, secondo cui Van Zandt un giorno gli prese la pistola, ci mise dentro un proiettile, fece girare il cilindro, se la puntò alla testa e premette il grilletto per ben 3 volte, per poi ridarla al suo amico, il quale se la prese al punto che non si parlarono per anni ("Mi ha dato terribilemnte fastidio il fatto che che mi abbia messo davanti ad una cosa del genere, significa che di me non te ne frega un *****"). E' questo l'altro aspetto di quest'artista, che ha sempre messo la sua arte e le relative scelte di vita prima di qualsiasi altra cosa, amici e famiglia compresi (vedi le parole del suo primo figlio), non rendendosi forse conto delle ferite che di riflesso causava a coloro che gli stavano affianco, e questo nonostante egli fosse tutt'altro che una persona sentimentalmente arida o, più semplicemente, egoista. Ha più che altro vissuto in un mondo tutto suo.

La Brown, ovviamente, inquadra anche la proveriale ironia di Van Zandt, che l'ha sempre accompagnato ma che, a mio avviso, seppur genuina, rappresentava comunque un'altra forma di difesa o di fuga dal suo mondo, un mondo fatti di alcol, droghe, estraneità e solitudine... la solitudine del genio.

Nel Gennaio del 1997 muore Townes Van Zandt, lasciando dietro di sé una vita sfocata, uno voce malinconica venata di disperazione e della musica unica. Al suo funerale, Guy Clark, suo amico e musicista, prima di suonare una delle canzoni di Van Zandt, con sincera, seppur amara in fondo, ironia, dice una frase che da sola spiega la vita di quest'artista meglio di qualsiasi altra cosa:
"I guess I booked this gig thirty-some years ago" ("Credo di aver prenotato questo concerto qualcosa come trent'anni fa")



* "Sometimes I don't know where this dirty road is taking me
Sometimes I can't even see the reason why
I guess I keep on gamblin', lots of booze and lots of ramblin'
It's easier than just a-waitin' 'round to die" (Waiting Around to Die)