caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

L'UOMO NELL'OMBRA regia di Roman Polanski

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
jack_torrence     7 / 10  12/04/2010 17:06:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La prima metà del film, riuscitissima, ha il valore aggiunto nelle atmosfere che si condensano mentre la trama man mano si infittisce. Atmosfere polanskiane al 100%.
Ma cosa si intende con "polanskiani"?
Anzitutto la paranoia serpeggiante (mirabile quella frase "sì, è arrivato proprio adesso..." detto al telefono quando il protagonista, a un certo punto del film, è appena entrato in una casa dove non era atteso...), sempre più fitta.
Personaggi di contorno che sembrano sempre di più i protagonisti di una cospirazione ai danni del protagonista.
(C'è una fortissima ascendenza kafkiana in Polanski).
E in secondo luogo una location isolata in cui si svolge gran parte dell'azione. Per esempio, come in questo caso, proprio un'isola. In essa si concentrano più facilmente le azioni di pochi personaggi, e si fa sentire sempre più in "trappola" il protagonista. Può essere anche un'imbarcazione, come ne "Il coltello nell'acqua", "Luna di fiele"; un appartamento come in "Repulsion", "Rosemary's baby" e "L'inquilino del terzo piano"; o proprio un'isola, come già in "Cul de sac".
Il portagonista de "L'uomo nell'ombra" sembra quasi un clone di quello - da Polanski stesso interpretato - di "L'inquilino del terzo piano": entrambi hanno in comune l'essere subentrati a un morto.

La "maniera" esiste da decenni, nel cinema di Polanski. Non per questo essa fa di "L'uomo nell'ombra" un prodotto minore. Forse è così rispetto ai film degli anni '60 (quelli europei, e più "autoriali": Il coltello nell'acqua, Repulsion, Cul de sac). Ma visto che Polanski ha preso un'altra strada da oltre 40 anni, si deve ammettere che questa "maniera" è e resta efficace tanto quanto quella dei "capolavori" successivi al 1968, di un autore divenuto apolide anche e soprattutto stilisticamente, per quanto gravitante intorno all'estetica hollywoodiana (Rosemary's baby, Chinatown, Frantic; o il più particolare e personale L'inquilino del terzo piano).
E della miglior Hollywood classica d'altri tempi appartiene Hitchcock, a cui il film di Polanski tende sempre più a somigliare man mano che l'intreccio giallo si dipana - quindi soprattutto nella seconda parte del film. Da quando il protagonista esce dall'isola, le atmosfere "kafkiane" o "polanskiane" si annacquano molto, e il film si sviluppa sempre più come un classico di Hitchcock.
A Hitchcock comunque fa rimando già la tipizzazione del personaggio (vedi L'uomo che sapeva troppo, Intrigo internazionale, La finestra sul cortile: "uomini comuni in contesti non comuni"), sia nel dispiegarsi dell'intreccio del giallo.
Rispetto a Hitchcock c'è molta meno ironia. Anche rispetto a un "L'inquilino del terzo piano" non c'è ironia.
Quel poco di ironia che Polanski mantiene la conserva per l'epilogo: un fuori campo i cui eventi in esso contenuti, Hitchcock avrebbe conservato.
A me è venuto in mente il finale di "Vertigo" (La donna che visse due volte): però lo shock è molto minore. Anche perché ciò che succede nell'ultima scena lo si intuisce 30 secondi prima che accada.

Una significativa differenza con Hitchcock sta nel fatto che Polanski non permette mai allo spettatore una totale identificazione con il personaggio qui interpretato da Ewan McGregor: il ghost writer di Polanski è sin dall'inizio opportunista quanto basta, e fatica moltissimo a prendere una posizione "politica" (e quando lo fa, si ha l'impressione che lo faccia solo per salvarsi, e non per motivi ideali).
Del resto la politica non è mai stata al centro degli intrighi di Hitchcock: per sua esplicita ammissione avrebbe disturbato parte del pubblico mentre lui voleva che il pubblico si identificasse senza riserve con il suo personaggio.
Hitchcock (con eccessiva severità verso se stesso) considerava lo spionistico "Il sipario strappato" un suo film tra i meno riusciti.

Quella di cui stiamo parlando è ad ogni modo una differenza minima: un "segno dei tempi" (relativamente, poi: il cinema ha iniziato a trattare di retroscena politici, e di complotti ad opera dei servizi segreti, almeno a partire da "I tre giorni del Condor" di Pollack, nei primi anni '70).

L'uomo nell'ombra insomma è in tutto e per tutto assolutamente classico, e si apprezza proprio nella sua classicità.
I gialli in cui tutto diventa progressivamente chiaro - e che soddisfano pienamente, grazie a una consumata maestria nell'uso della suspence, pur nella semplicità dell'intreccio - sono diventati rarissimi in un'epoca in cui tutti gli autori e gli sceneggiatori fano a gara per indiividuare nuove trovate, cose (apparentemente) mai viste, contaminando i generi e complicando fino allo spasimo gli intrecci.
jack_torrence  14/03/2011 18:05:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ALZO IL VOTO.

SAREBBE UN 8, SE NON FOSSE CHE, PER ALCUNE INCONGRUENZE DI INTRECCIO NELLA SECONDA PARTE, E PER UNA COMPLESSIVA "MANIERA" CHE GLI IMPEDISCE DI ESSERE ALL'ALTEZZA DEI MIGLIORI FILM DI POLANSKI (alcuni dei quali non vanno oltre l'8),
IL MIO VOTO E' 7,5