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CHINATOWN regia di Roman Polanski

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hghgg     8½ / 10  16/11/2014 11:07:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Che grande bluff la storia del "periodo americano" di Roman Polanski; un grande bluff perché alla fine il "periodo americano" non è mai esistito: il suo primo film girato negli Stati Uniti è "Rosemary's Baby" che riflette decisamente lo stile europeo di Polanski e che di americano non ha poi molto nel complesso, e di hollywoodiano ha ancora meno; poi è il turno di "Macbeth" e qui credo non ci sia bisogno di spiegare perché una cosa simile col cinema americano non c'entri una mazza (al massimo c'entra con Beverly Hills, ma quello è un altro discorso), oltre al fatto di essere solo per metà di produzione statunitense; e infine è il turno di "Che ?" è anche qui tra produzioni internazionali varie e ambientazioni italiane diviene impossibile attribuire tale film ad un fantomatico periodo americano che teoricamente inizierebbe con Rosemary e terminerebbe con il successo di "Chinatown". Ecco, "Chinatown" si è IL film americano anzi Hollywoodiano di Roman Polanski, l'unico, quindi al massimo si potrebbe parlare di "film americano" o "film hollywoodiano" di Polanski.

Tra l'altro un film "su commissione" soltanto diretto dal regista polacco che sappiamo tutti essere uno dei più grandi autori nella storia del cinema europeo (almeno). Ma i grandi registi-autori sono per l'appunto grandi anche per i risultati
che sanno tirar fuori da una sceneggiatura scritta da altri (scritta divinamente, in questo caso) e certamente questo è il caso di Polanski in "Chinatown", visto che ha diretto quello che resta uno dei suoi film migliori e un grande esempio di "Noir" e "Detective Story" nel cinema anni '70, la prima discesa del polacco in tale genere, trattato con stile molto classico e "old-fashioned" ma con dentro l'influenza del nuovo cinema americano ormai esploso in quel decennio.

La regia di Polanski è perfettamente immersa nel genere e regala grandi cose pur non essendo la sua direzione più convincente in assoluto. Inoltre, nonostante questo sia certamente uno dei suoi film meno personali e che meno si identifica nel suo stile e nelle sue idee di regia e cinema, sarebbe un errore pensare che Polanski non abbia posto anche in "Chinatown" la sua mano d'autore: perché Robert Towne ha fatto un grande lavoro alla sceneggiatura ma fosse stato per lui questo film sarebbe terminato diversamente, il finale che tutti conosciamo nacque per mano di Polanski che volle fortemente "quel tipo" di finale per il film e convinse Towne a modificare il copione. Ed è nel finale così tremendamente drammatico, shockante e soprattutto rassegnato che si può riconoscere finalmente e senza dubbio alcuno la scintilla dello stile e della mano del Polanski autore anche in "Chinatown" quando fino a quel momento il regista si era limitato a dirigere, seppure con tecnica e abilità sopraffine. Lo stile che sopraggiunge così inarrestabile e tragico nel finale del film è soprattutto, per forza di cose, quello del Polanski post-1969, perché se tenero e conciliante con lo spettatore non lo era mai stato nemmeno all'inizio, dopo il 1969 il tragico, lo shockante e il rassegnato erano ormai quasi necessari nello stile e nel credo del polacco, sopraggiungevano quasi in automatico; e se ho detto e ripeto che di Sharon Tate e del suo "spettro" è necessario parlare quando si commentano "Rosemary's Baby" e "Macbeth", bisogna anche aggiungere che in un modo o nell'altro la sua presenza è riscontrabile sempre nel cinema di Polanski fino almeno al 1979, fino a "Tess". E "Chinatown" con la sua epocale rassegnazione conclusiva, col suo cupo epilogo, con quel cruento destino ineluttabile a cui i protagonisti (e soprattutto la protagonista femminile) vanno incontro senza riuscire ad opporsi non rappresenta un'eccezione. Si tratta ancora di quel male che colpisce spietatamente e che alla fine vince per quanto si sia tentata resistenza. La mano di Polanski è più viva che mai nel finale di questo film.

"Lascia stare Jack, è Chinatown"... Una delle frasi più taglienti e rassegnate nella storia del cinema, perfetta conclusione di quel circolo di inganni, crimini e violenze che sono state mostrate allo spettatore per oltre due ore; e gli ultimi 10 minuti sono semplicemente straordinari per intensità e drammaticità, sequenze difficilmente dimenticabili, se non altro per la poderosa accelerata nel ritmo che in quegli ultimi momenti toglie davvero il fiato.

Poi ci sono i personaggi, tutti inseriti in un contesto "Noir" e "Giallo" (o "Hard-Boiled") estremamente classico nella scrittura della storia e nel ritmo narrativo ma tutti pesantemente influenzati dall'allora moderno cinema americano. Jake Gittes è un perdente, non è il detective che indaga e pian piano, infallibile e imperturbabile, magari tormentato ma alla fine pronto a trovare il bandolo della matassa, riesce a sciogliere tutti i nodi e ad arrivare alla soluzione. No Gittes indaga, fa congetture, si impegna al massimo ed è uno tosto ma c'è sempre qualcuno o qualcosa che lo blocca, c'è sempre qualcosa che gli sfugge e la verità in gran parte gli verrà confessata e quando arriverà al quadro completo sarà ormai troppo tardi per sfuggire al destino tragico di chi cercava di salvare. Sono personaggi disillusi e sconfitti anche se inseriti in un contesto classico come questo e quindi insigniti di alcune caratteristiche tipiche dei personaggi del genere; personaggi ibridi tra il classico (degli anni '40 e '50 soprattutto) e il moderno (la nuova Hollywood '67-anni '70) e ciò vale anche per il personaggio femminile di Evelyn.

Tutti i personaggi sono ben caratterizzati, con una delineata e complessa psicologia, sono vivi, pulsanti e interessanti e in questo come in tutto il resto la sceneggiatura di Towne fa un grande lavoro.

Fa un grande lavoro anche nel gestire perfettamente l'evoluzione della trama, con il suo gioco di incastri, inganni, scambi e segreti che la rende molto complessa e intricata ma abbastanza ben scritta da risultare sempre chiara, lucida e ben delineata nelle sue intenzioni finali il che è la cosa più importante e la rende una grande sceneggiatura.

E poi be, c'è l'ottima interpretazione di Jack Nicholson, raffinata e particolarmente sotto le righe (mancava un anno soltanto al più grande Nicholson di sempre), c'è quella altrettanto superba di Faye Dunaway, una prova d'attrice talmente convincente che potrebbe essere tranquillamente considerata la sua migliore, la sua interpretazione più riuscita. C'è anche una bella interpretazione di John Huston e ed ecco che torna quell'incastro come ai tempi di "Rosemary's Baby", un grande regista (anche se non grande quanto Cassavets) che fa (bene) l'attore per un altro grande regista che fa spesso anche lui (bene) l'attore, nei suoi film o in quelli altrui. Particolare simpatico.

Lodiamo anche l'azzeccata fotografia che ben restituisce l'atmosfera del film e diventa superba nel finale a Chinatown, così notturna e cornice perfetta per il rassegnato scontro finale col destino, lodiamo il modo in cui è stata gestita la presenza del quartiere cinese nella storia, ombra inquietante e sfuggente che diventa realtà ed eterno ritorno del male negli ultimi indimenticabili minuti; mi viene da lodare anche il modo in cui Towne ha preso spunto con realismo e abilità narrativa dalla vera storia di Los Angeles e da avvenimenti realmente accaduti negli anni '20, parlo degli avvenimenti "base" della storia (la distribuzione dell'acqua nei territori della California), spostando il tutto una quindicina d'anni più tardi (il film è ambientato nel 1937). Lodo infine lo psycho-cameo di Polanski in una delle scene più belle del film in cui il "buon" Roman quasi stacca il naso a Nicholson con un serramanico.

Sarà anche stato un film su commissione, sarà anche uno dei suoi film meno personali nel complesso (certo non è ne il "Macbeth" ne tanto meno "Il pianista") ma l'unico vero grande film Hollywoodiano di Polanski resta un indelebile esempio di grande cinema. Ma un autore come questo non poteva certo piegarsi a metà degli anni '70 alle logiche del successo hollywoodiano e allora eccolo lì, che se ne torna subito in Francia, nel cinema europeo, pronto per il suo più grande e sconvolgente capolavoro e lì si che sarà Polanski al 100%.

Grandissimo film "Chinatown", comunque.
Dick  23/01/2015 19:55:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"C'è anche una bella interpretazione di John Huston e ed ecco che torna quell'incastro come ai tempi di "Rosemary's Baby", un grande regista (anche se non grande quanto Cassavets) che fa (bene) l'attore per un altro grande regista che fa spesso anche lui (bene) l'attore, nei suoi film o in quelli altrui. Particolare simpatico."

Già!