Terry Malloy 9 / 10 28/05/2008 21:13:58 » Rispondi Un capolavoro. Il capolavoro (insieme e forse un gradino sotto a “Regalo di Natale”) di Pupi Avati e dell’horror ’70. L’horror è in Avati non solo una ricerca della precisione stilistica, della decodificazione di una perfetta struttura narrativa che come una bomba a orologeria esploda nell’irrazionalità dello spettatore causando l’effetto-terrore. Questo lo si può riscontrare nella produzione argentiana ad esempio; in Avati l’horror è solo un’altra via di esplorazione nel racconto dell’Umano. Come sempre, tale tipo di racconto non è mai scindibile dall’analisi nuda e cruda della società a cui si ascrive il soggetto agente. È poi d’obbligo che il detto soggetto sia da inserire dall’esterno (un diverso, un alienum) poiché non vi è obiettività altrimenti. È da queste premesse che si dipana la sconvolgente storia del film, un horror sociale quindi ancor più spaventoso che va a minare le nostre convinzioni più radicate. Il morbo è esteso a tutti i tipi sociali, chiesa soprattutto inclusa (ricordarsi il potentissimo finale, da applausi, da oscar, da nobel, da unesco, da iperuranio da tutto!!). il morbo è raccontato e perpetrato dalle figure macabre e inquietanti del pittore e delle vecchie streghe, l’irrazionalità del dolore, il piacere, l’immortalità attraverso l’arte, il racconto con essa dei più alti gradi della perversione e del sacrificio. A questo la popolazione non riesce e non vuole sottrarsi perché vi riconoscono la straordinaria umanità e si riconoscono in essa, vi partecipano: facendo del mostro, una cosa collettiva.
“ti porterò in una casa delle finestre che ridono! Ah ah ah!”