Dom Cobb 10 / 10 13/04/2018 17:06:21 » Rispondi Una città tedesca viene terrorizzata da un serial killer che prende di mira le bambine e rimane introvabile. Mentre la paranoia e il panico si diffondono sempre più fra la popolazione atterrita, la polizia e la criminalità organizzata iniziano a dare la caccia al famigerato "mostro"... Con il suo primo excursus nel cinema sonoro, Fritz Lang firma il suo capolavoro. Uscito in un'epoca dominata dalle tensioni e dalle irrequietezze concomitanti alla rapida ascesa del nazismo in Germania e ispirato in parte a un fatto di cronaca ancora molto recente, questo "M" si inserisce come caposaldo del thriller e antenato del cinema noir, che ben presto avrebbe trovato ad Hollywood terreno fertile per manifestarsi appieno. Ma non solo: il film riesce in maniera sublime a catturare le paure ed incertezze del periodo in cui è stato prodotto, e a trasporle sullo schermo in un modo che rimane ancora oggi spaventosamente attuale. Il film è un po' lento a ingranare nella prima parte, ma è necessario in modo da creare il giusto clima di fragile quiete pronta ad essere sconvolta dall'arrivo del famigerato "uomo nero" oggetto degli innocenti giochi da cortile dei bambini. In questi frangenti, Lang mostra tutta la sua immensa padronanza del medium filmico e l'abilità di adattarsi alle innumerevoli possibilità offerte dal neonato sonoro con tocchi rimasti impressi nella memoria collettiva.
La prima apparizione dell'assassino sotto forma di silhouette e il suo arrivo scandito dal motivetto fischiato, senza che lui abbia neanche bisogno di comparire in scena.
Il tutto arricchito da forti contrasti luce/ombra, da inquadrature di sbieco e una gotica fotografia capace di dare a una città intera un senso di claustrofobia, come una gabbia di animali inferociti pronti a sbranarsi a vicenda pur di trovare il "cancro" che li sta infettando. Poi, man mano che il campo della narrazione si allarga divenendo più corale, fra investigazioni della polizia e riunioni clandestine di criminali la paranoia cresce e il ritmo lentamente sale, finché dal momento della scoperta e "marchiatura" dell'assassino, il film si mette a correre e non si ferma più, concludendosi in un vertiginoso climax finale che fa venire la pelle d'oca, e nel quale si contano vari momenti da pura antologia del cinema.
La serrata caccia all'interno dell'edificio di notte è un manuale su come creare la tensione, con decenni di anticipo su Hitchcock.
Ma quasi a voler sorpassare ancora quanto fatto fino a quel momento, è solo alla fine che il film scopre tutte le sue carte, rivelando con potenza e senza alcuna possibilità di sfuggirgli il tremendo dilemma che sta alla base di questa storia, il concetto che vuole esprimere.Ed è proprio questo il segreto che, per quanto mi riguarda fa di "M" il miglior film di Lang, specialmente paragonato a quello che viene considerato tale dalla maggioranza, "Metropolis": se quest'ultimo sfrutta tecniche all'avanguardia e uno stile visivo mozzafiato per veicolare un messaggio valido, ma in maniera molto sempliciotta, venata di buonismo e in parte soffocata dallo stesso impianto spettacolare che è il suo punto di forza, in "M" lo spettacolo viene sacrificato a favore di una maggiore cura nella narrazione, una grande attenzione e creatività nell'uso dei nuovi mezzi sonori oltre che di quelli visivi e nell'abbracciare in tutto e per tutto l'ambiguità del tema trattato.
In uno dei monologhi più perfetti della storia del cinema, il mostro ammette le sue colpe, affermando di essere vittima di un impulso irrefrenabile che gli concede un minimo di pace dalle "voci" e dalle "ombre" che lo perseguitano notte e giorno. La folla inferocita vede in ciò un valido motivo per condannarlo a morte: chi non può controllare i propri impulsi non farà altro che creare danno agli altri e alla società in cui vive, e perciò dev'essere eliminato. A questa decisione si oppone l'avvocato difensore, che ribadisce che l'assassino in realtà è solo un uomo malato, e che come tale dev'essere curato, con buona pace del rischio che tale eventualità non si avveri mai e che, per varie circostanze, l'uomo si ritroverà prima o poi di nuovo ad uccidere; ma egli insiste dicendo che, assassino o no, l'uomo ha gli stessi diritti di chiunque altro, gli stessi diritti delle madri che hanno perso le loro figlie, e che nessuno può togliergli questi diritti o la vita stessa a causa delle sue azioni, "neanche lo stato". Lo stesso assassino inveisce contro la folla che lo accusa, dichiarando che loro stessi, per lo più criminali, ladri e assassini come lui, non hanno alcun diritto di esigere la sua vita. Oltre all'evidente parallelismo sulle vicende politiche dell'epoca di produzione del film, ce ne sono di argomenti su cui riflettere.
Certo, a conti fatti si tratta dell'eterno dilemma della giustizia, su quali persone siano effettivamente qualificate ad amministrarla ed entro quali limiti la si può o deve esercitare. E' vecchio come la società stessa, ma tanto più valida alla luce di vari esempi di ingiustizia che continuano ad emergere al giorno d'oggi. Non c'è una risposta facile alle domande che vengono poste, forse non c'è e basta, e a differenza di "Metropolis", questo film non pretende di averne. La stessa chiosa finale suona come una magra consolazione, insufficiente a migliorare le cose in modo significativo. In tutto questo, giova incredibilmente la prestazione del cast, ciascuno più che azzeccato nella sua parte; ma su tutti svetta un superbo Peter Lorre, qui in una delle migliori interpretazioni della sua carriera, capace di imprimersi nella memoria e non svanire più: la sua abilità di prendere un individuo deviato e psicotico e arricchirlo di numerose sfumature di paura, incertezza, consapevolezza, ira e rassegnazione è indescrivibile a parole, e viene rafforzata ulteriormente dal doppiaggio italiano, davvero superlativo. Sebbene non si possa parlare di un film incentrato su un personaggio preciso e sia, a conti fatti, un'opera totalmente asservita alla rappresentazione della propria tematica, non mi viene in mente un altro film che ci sia riuscito allo stesso modo. Questo sì che è Cinema.