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DILLINGER E' MORTO regia di Marco Ferreri

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ULTRAVIOLENCE78     10 / 10  29/04/2008 00:26:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Capolavoro senza se e senza ma. Ogni sequenza è atta a porre in essere la rappresentazione dell'alienzazione dell'esistenza: a partire dall'incipit, in cui si enuclea la metafora agghiacciante dell'uomo costretto a "mascherarsi" per identificarsi con la artificiosa società moderna; fino alla conclusione, altrettanto inquietante, che culmina col tentativo di fuga sul veliero verso un orizzonte artefatto, simbolo della impossibilità di evadere da una realtà opprimente costituita da feticci, falsi miti e vuote necessità. Tutta la vacuità dell'esistenza dell'uomo, fondata su ciò che artatamente e subdolamente è stato creato dalla società capitalistica dei consumi, si concentra in questi 95 minuti in cui uomo (interpretato da un eccelso Michel Piccoli) si trova a fare i conti con la propria vita. Ogni cosa si rivela essere insulsa e insensata: il lavoro, i programmi televisivi, la moglie -presentata quasi come un soggetto inanimato-, la domestica votata all'idolatria; ma soprattutto tutto il passato che il nostro protagonista ripercorrerà attraverso la proiezione di alcune bobine. Il rifiuto della ipocrisia di questo vivere si concreterà nell'uxoricidio e nell'allontanamento dal proprio ambiente sociale. Ma tutto sembra essere vano: non si può sfuggire a una realtà che è ormai inesorabilmente compressa nei suoi fondamenti, se non proprio attraverso quell'atto estremo che è stato solamente simulato: e cioè il suicidio.
Ciumi  19/07/2009 12:09:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Io qualche se e qualche ma lo avrei…

Credo che col tempo si sia trasfigurato il concetto d’innovazione artistica, tutto ciò che è innovazione è considerato un’opera d’arte, mentre, a mio avviso, ogni conquista fatta dovrebbe essere finalizzata allo scopo di una comunicazione emotiva e non solamente concettuale. Detto questo, è probabile che io non abbia ben compreso questo film, ma posso dire per certo che mi ha trasmesso poco o nulla (se non un fastidioso senso d’irritazione). Più volte, ho letto, gli è stato associato il termine “astratto”. E’ corretto? Se l’astrattismo viene inteso come il rifiuto di una rappresentazione reale, al fine di approfondire una trasposizione pura del sentimento, direi che questo “Dillinger è morto” ne è l’antitesi. Qui Ferreri ci mostra la realtà per esprimere il “nulla”. Piuttosto somiglia di più ad una cornice vuota, e quindi, per riallacciarmi al discorso di prima, alla negazione di ogni espressione emotiva per favorirne una prettamente concettuale (la raffigurazione dell’alienazione).
Insomma penso che l’arte nasca soprattutto dalla volontà di una manifestazione intima e sentimentale; e francamente non vedo tale purezza d’intenti in quest’opera di Ferreri, che anzi ha suscitato in me un certo sospetto (un po’ maligno forse), ovvero che il suo obiettivo artistico qui non sia sincero, e che la pellicola sia stata girata più pensando a far sì che fosse apprezzata dalla critica, e non in virtù d’una genuina passione o d’uno spontaneo desiderio d’espressione.

Lucignolo90  13/04/2013 02:03:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grandissima analisi del film in poche righe. Hai detto praticamente tutto. Per me il miglior commento della pagina
ULTRAVIOLENCE78  20/07/2009 09:17:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Io non lo vedo affatto come "una cornice vuota": è un film pregnantissimo ed efficacissimo in ogni sua parte. Una delle più feroci e nichiliste requisitorie contro la società "in primis", e in generale contro l'assurdità della vita che non offre scappatoie.
Ciumi  20/07/2009 12:23:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il “vuoto” della cornice è quello emotivo, non concettuale.
In effetti, come hai osservato tu, la cornice vuota non è l’esempio più corretto. Sarebbe stato più opportuno prendere come paragone, che so, i tagli sulla tela di Fontana.
Il mio, insomma, era più che altro un piccolo sfogo contro la tendenza dell’arte contemporanea in generale, dove le ragioni stesse dell’arte, la purezza, la bellezza e il sentimento, vengono ormai sistematicamente contaminate da costrizioni teoriche, che per quanto intelligenti siano e formalmente efficaci (su quello nulla da dire, il tema dell’alienazione, seppure non nuovo, è reso benissimo), non riescono a suscitare spontanee sensazioni.