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DOGTOOTH regia di Yorgos Lanthimos

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Barteblyman     7½ / 10  02/03/2013 15:56:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se all'inizio il film ricorda vagamente Haneke, e poi a metà ricorda vagamente Haneke e poi anche alla fine ricorda vagamente Haneke mentre i titoli di coda ricordano von Trier il film in realtà è di un regista greco che non è quindi né von Trier né Haneke. Fatta questa piccola e non necessaria premessa che fa molto quello che vuol fare il simpatico a tutti i costi o roba del genere, mi sembra ben donde più costruttivo parlare della pellicola e non di ciò che ricorda. Dando così al film il valore che in fin dei conti si merita. (Praticamente me le suono e me le canto)

Una famiglia composta da un padre, una madre, una figlia minore, una maggiore e un fratello (nel film loro stessi si chiamano così) trascorrono sereni le loro giornate, isolati dal mondo nella loro villetta fuori città, circondata da un alto muro che ne enfatizza l'isolamento. Il padre (l'unico a poter uscire di casa per andare a lavoro) e la madre educano i figli (ormai decisamente grandicelli) facendo loro riconoscere l'importanza di cose come l'ambizione, la determinazione -grazie a gare di resistenza-, il cosa è giusto e il cosa è sbagliato. Il padre in particolare si prende cura anche della loro "educazione" linguistica, trasformando così la semantica di alcune parole e quindi di alcuni concetti. Una vera e propria operazione di decostruzione del significato e del significante che per i figli, ignari dell'operazione di trasformazione, è un vero e proprio vocabolario. Così, ad esempio, il mare è una "poltrona in cuoio con braccioli di legno", l'autostrada è "un vento molto forte", la carabina è un "bellissimo uccello bianco".

Ah, ora mi siedo sul mio mare. Fuori c'era troppa autostrada, tuttavia sono riuscito a scorgere una carabina.

Oltre alla certo curiosa nonché bizzarra didattica vi è anche uno smembramento del senso della misura (inteso proprio come spazio, geometrie) che porta i figli a credere che un aereo che vola in cielo, una volta caduto a terra (e loro se lo augurano sempre), sia grande pochi centimetri.

Nei momenti più spensierati poi, mentre i genitori si guardano film porno, tocca ai figli auto-disciplinarsi per dimostrare di aver assimilato ben bene i valori dell'educazione familiare.

Insomma, una famiglia felice. L'armonia (linguistica, lessicale, spazio-temporale, concettuale) viene tuttavia un bel giorno messa a rischio dall'arrivo di un elemento esterno.

Volendo spiegare chiaramente il mito della caverna platonica io suggerirei (dall'alto di un emerito c**** tra l'altro) ai docenti di mostrare ai propri studenti questo film. Mito della caverna che si può anche riassumere con l'espressione "avere fette di salame sugli occhi". Il cinema però offre -come in questo caso- forme esemplificative più costruttive.

Platone... NON E' UNA SBOBBA, SARO' BREVISSIMO... Platone, nel settimo libro della Repubblica, descrive il mito della caverna per chiarire meglio la distinzione di due forme di conoscenza. La famiglia del film, i figli in particolare, possiedono quella che viene definita conoscenza sensibile. Loro vedono cioè soltanto ombre, quelle che per noi sono ombre, e credono che queste ombre siano la realtà. FINE. Oddio il discorso sarebbe anche più complesso, cioè l'identificazione del vero che in fin dei conti noi, in epoca mediatica, stiamo non dico perdendo ma mutuando. La necessità di una (questa sì sana) educazione ai meccanismi della immagine video, ai suoi subdoli substrati. Il raziocinio come strumento di lettura dell'immagine o del virtuale. Vabbè, in medias res, andiamo al nocciolo.

Gli schiavi, i figli della coppia, sono all'interno della caverna. All'interno del loro mondo sensibile loro vivono di supposizioni, di congetture, incapaci di verificare realmente la concretezza di quello che vedono se non mediati dai genitori.

Il film, vincitore nel 2009 a Cannes nella sezione Un certain regard, regala oltre ad una regia che non si preoccupa a volte di tagliare porzioni di nuca dei protagonisti (cose che bisogna saperle fare, nel senso che spesso si rischia di esser troppo alternativi, ma non è questo il caso) riflessioni ataviche nonché ateniesi. Platone inside, quindi, o Aristocle inside. Filosofia portami via ma anche cinema. Cinema vero e proprio, ma qui ovviamente non voglio arrivare agli odiosi spoiler. A tal proposito ho trovato in rete una accurata recensione ove però alla fin fine si racconta tutto il film. Più che una recensione una sinossi, senza neanche la benemerita cortesia di avvisare lo sventurato lettore del mega spoiler. Io, per fortuna, la recensione-spoiler l'ho letta solo dopo aver visto il film. Ma a parte queste mie considerazioni di poco conto sulle mie funeste letture, posso ben donde -e direi anche oltremodo- consigliare questo film. Consigliarlo a tutti. Sì consigliarlo all'insegnante che deve parlar del mito della caverna platonica, sì consigliarlo ai fan di Haneke ma soprattutto consiglio questo film alla mamma, al papà, alla figlia minore, alla figlia maggiore e al fratello.