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PAJU regia di Park Chan-Ok

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Ciaby     7½ / 10  27/05/2010 21:08:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Terzo lavoro di Park Chan-Ok, il promettente regista coreano di "Warm Swamp" e "Jelousy Is My Middle Name", "Paju" ha spopolato ai vari festival, anche europei, proclamandosi come un film in grado di dare nuova linfa al cinema d'autore coreano.
Park, per raccontare il suo dramma, sembra ispirarsi molto al miglior Lee Chang-Dong (quello di "Oasis" e "Secret Sunshine", per intenderci) in tema di regia e modo di raccontare la storia, ma anche dallo Jia Zhang-Ke di "Still Life", "Useless" e "24 City", ques'ultimo non tanto per stile quanto per le ambientazioni.

L'ambientazione è, infatti, Paju, paese che, ora è industrializzato e moderno, ma che quindici anni fa, era un paese totalmente rurale. Il film è ambientato proprio nel passaggio da campagna a città, in quella porzione di tempo tra il 1995 e il 2003, in cui la vicenda prende sviluppo.

La narrazione è abbastanza faticosa, non tanto perchè la scenggiatura sia malscritta, anzi, è perfetta, quanto perchè Chan-Ok, soffermandosi sullo stile, racconta in modo troppo lento, spesso esageratamente, finendo per annoiare anche lo spettatore più preparato. Il secondo difetto del film, derivato dal primo, comunque, è la prolissità, tipica di certo cinema coreano contemporaneo che vorrebbe sempre raggiungere le 2 ore standard, spesso raccontando anche il superfluo e il noioso.

Però, togliendo questi due trascurabili difetti, resta "Paju", ovvero un ottimo film, soprattutto quando lo considera una terza prova: registicamente, infatti, è ineccepibile, la recitazione è meravigliosamente tratteggiata e la storia, nonostante non sia questo granchè, fa un gran male ed emoziona, e quest è il frutto del fatto che, comunque Park Chan-Ok di talento ce ne ha eccome, e da vendere.

"Paju" non è, dunque, un film esente da difetti, ma sa il fatto suo e, in rispetto a certe "cose" coreane commerciali, si può anche definirlo capolavoro. Un film che, poi, nel finale trova il suo apice, afferra il collo dello spettatore, e non lo molla più.

Indefinibile, ma per certi versi bellissimo, e quindi da vedere.