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HAPPINESS regia di Todd Solondz

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  19/11/2010 15:14:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Arrivati al termine di film di questo tipo, ci si chiede sempre "dove vogliano arrivare". Il punto è che non esiste una morale della favola. Non ci sono intenti didascalici né critici. L'atteggiamento dello spettatore dev'essere come quello di chi osserva un affresco: coglierne le luci, i giochi d'ombra, gli aspetti cromatici, le posizioni, le espressioni, gli elementi in primo piano, quelli sullo sfondo. Happiness è così: un ritratto. Impietoso e quanto mai grottesco, che oscilla continuamente tra commedia e dramma, uno spaccato multicolore di una certa società americana media di oggi, una società periferica, nascosta e silenziosa, così come il New Jersey è rispetto al tumulto di New York.
Una vicenda assurda e a tratti surreale che indaga i meccanismi della ricerca della felicità da parte di un ensemble di casi umani tormentati dalle incertezze, dai dolori, dalle insoddisfazioni, dai sensi di colpa, dai problemi più disparati. Un puro esempio di cinema corale, che riporta alla mente l'America Oggi di Altman così come ricorda le vicissitudini dei personaggi di Magnolia di Anderson: storie complesse, anche estremamente diverse, ma pur sempre collegate anche solo da un minimo punto in comune, a sottolineare quella sorta di universalità di emozioni e pensieri che sulla pellicola coinvolgono solo i personaggi, ma alla fine riguardano tutto e tutti; è l'affresco di una società intera, non solo di una "famiglia", dipinto attraverso un campione di essa. E che campione: onanisti telefonici, obese sessuofobe omicide, psichiatri pedofili, padri fissati col machismo e con la paura di avere figli gay, undicenni con l'ossessione della maturità sessuale, tassisti russi ladri ed incantatori, donne di mondo che scoprono la propria nullità, e donnine trentenni insicure ed impacciate. Persone sbattute a destra e a manca dalla bufera delle relazioni interpersonali che rincorrono in continuazione la felicità con la speranza di trovarla.
Lo stile di Solondz è fantasioso e delicato, originale, e fugge dagli schemi dei film di genere: c'è commedia, c'è dramma, ci sono particolari che vanno dal volgare, all'osceno, al grottesco, al macabro, eppure non è commedia drammatica, né dramma, nè commedia nera: è un nuovo tratto stilistico, originale autoriale ed unico, dove storie di disperazione, ossessione, vuoto esistenziale possono essere affrontate col sorriso o con la risata, ma anche con delicatezza.
Ben scritta la sceneggiatura, che riesce ad incastrare alla perfezione le varie storie e a non annoiare mai in due ore e venti di film.
Gli attori sono tutti fantastici e molto nella parte: da Philip Seymour Hoffman sempre sudato ed agitato, a Ben Gazzara, Dylan Baker, Lara Flynn Boyle, Jane Adams, Camryn Manheim. Straordinaria la prova di Rufus Read, il figlio dello psichiatra.
Un piccolo gioiellino da non perdere