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MILANO CALIBRO 9 regia di Fernando Di Leo

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amterme63     7½ / 10  14/12/2010 22:09:26Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Decisamente un ottimo thriller/noir. La storia è impostata molto bene e gira attorno al mistero della scomparsa di 350.000 dollari (un bel gruzzoletto agli inizi degli anni '70). L'ambiente è quello della mafia siciliana trapiantata a Milano (a tal proposito un personaggio pronuncia una battuta: "bisognerà aprire l'antimafia anche a Milano", che all'epoca pareva assurda e che ha finito invece per diventare quasi realtà). Il traffico criminoso trattato è quello dell'esportazione illecita di valuta (piaga molto diffusa all'epoca presso quasi tutti gli imprenditori del Nord).
La banda gabbata (quella dell'Americano, in realtà un si**** neoarricchito in versione truce) sospetta che sia stato Ugo (un bravissimo Gastone Moschin) e lo pedina strettissimo appena uscito di prigione per una banale rapina. Sarà stato realmente lui? Se non lui, chi? Questo dubbio ci attanaglia per tutto il film e fa da efficace motore della suspense e dell'interesse intorno alla storia.
C'è da dire che la prima impressione che se ne ricava è che Ugo sia in realtà innocente. Prima di tutto il regista/sceneggiatore Di Leo ci fornisce un ritratto molto particolare del personaggio. Si tratta un criminale molto "sui generis". Infatti ha un atteggiamento molto distaccato, dei modi molto misurati e composti. In pratica si comporta come un eroe di un film esistenzialista: amareggiato, sconsolato, quasi dimesso e modesto (addirittura paga i danni in un albergo non provocati da lui!). L'unica consolazione rimasta sembra essere la sua donna (una sexy e bella Barbara Buchet) a cui perdona addirittura tutte le infedeltà. Lei, insieme all'amico Chino, rappresenta l'unico appiglio rimasto in un'esistenza amareggiata e precaria. Tutto questo nobilita molto il personaggio che conquista subito la simpatia e il "tifo" dello spettatore.
Tanto più che i rivali di Ugo sul fronte "criminale" sono ritratti sì come delle persone dure, violente e spietate, ma allo stesso tempo appaiono a volte quasi comici. Soprattutto il personaggio di Rocco (un bravissimo Mario Adorf) spicca per i modi coloriti e rozzi e la loquace parlantina sicula. Insomma un personaggio molto ben caratterizzato e interpretato.
L'originalità del film sta però soprattutto nelle scene che si svolgono in questura, negli scontri verbali fra il Commissario (democristiano, che intende la legge come pura e semplice difesa dell'ordine costituito, da applicarsi in maniera dura e severa soprattutto al crimine spicciolo) e il Vicecommissario (comunista, che intende la legge come giustizia sociale che deve colpire soprattutto il grande crimine, i colletti bianchi, ed essere indulgente nei confronti di chi subisce il degrado sociale). Si tratta di qualcosa di molto singolare, in quanto le scene sono quasi ininfluenti sul corso della storia. Evidentemente sono argomenti che stavano molto a cuore a Di Leo e poi quella era un'epoca altamente politicizzata. Il Vicecommissario è un personaggio caratteristico, trattato nel film come un perdente. La storia sembra però dargli ragione. L'ufficio dell'Americano è in uno dei principali palazzi della finanza milanese. I potenti malviventi (altro che piccolo crimine) non esitano poi a usare il tritolo, addirittura in piena Stazione Centrale di Milano. Gli agganci con l'attualità dell'epoca (Piazza Fontana, ecc.) sono evidenti.
Il film comunque lascia sullo sfondo le implicazioni politiche e si dedica nel finale a rimescolare le carte, a svelare aspetti sorprendenti e inaspettati nei personaggi principali. Un finale ironico e beffardo che lascia sorpreso e "ingannato" lo spettatore e che fa risaltare la bravura di Di Leo. Ottime le scenografie in una Milano nebbiosa e indifferente, con i suoi monumenti, i grattacieli e le case a ringhiera. Belle anche le musiche.
Nel suo genere è uno dei migliori.
KOMMANDOARDITI  15/12/2010 02:58:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciò che mi ha colpito di più in questo film è stata la frase incredibilmente premonitrice che Don Vincenzo (Ivo Garrani) pronuncia mentre passeggia assieme a Moschin e Leroy : "Se continua così vedrai che fanno l'antimafia pure per Milano".
Pur nella sua involontarietà è un qualcosa che resta abbastanza impresso.

Stupende poi le musiche di Bacalov (lo stesso di DJANGO) e degli Osanna: davvero indimenticabili.

P.S.: MILANO ODIA resta in pole position allora :-D
amterme63  15/12/2010 09:25:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questa frase ha colpito moltissimo anche me. Tu pensa che nei primi anni '70 c'era ancora chi negava semplicemente l'esistenza della Mafia. Era quindi una frase molto forte, quasi paradossale. E invece guarda un po' come ci ritroviamo! Questa la dice lunga sull'incuria civile in Italia.
Anche i dialoghi fra Vice e Commissario sono di grandissima attualità. Nelle parole del Commissario ho sentito echi dei discorsi di quelli della Lega o di Forza Italia, mentre le parole del Vice oggi cadrebbero nel vuoto (nessun politico le rappresenta a dovere). Del resto il film lo fa capire che questo atteggiamento è destinato alla sconfitta.
Comunque forse sono stato forse un pochino di manica stretta con questo film. "Milano Odia" emotivamente coinvolge molto di più e per quello mi è rimasto più impresso. Una scena soprattutto ha determinato il fatto che dessi un mezzo punto in meno:

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Per il resto ottimo film. La musica poi è eccezionale. Bacalov poi è riuscito nell'impresa di fondere la magnificenza del classico con la durezza e la drammaticità del moderno. Mica facile. Tanto di cappello.