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POETRY regia di Chang-Dong Lee

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     8½ / 10  27/05/2011 00:59:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Può il sublime nascere dalla più profonda abiezione?
Può la bellezza sbocciare dal dolore ed essere più sfolgorante man mano che il dolore diviene più lancinante?
Può la parola sgorgare rigogliosa dalla progressiva invasione della malattia che più di ogni altra la nega, cioè l'Alzheimer?
Può coniugarsi l'armonia di un paesaggio ridente ai limiti dell'idilliaco con il tranquillo orrore delle nefandezze umane?
Può la poesia cambiare lo sguardo del mondo?
A tutte queste domande, tranne che all'ultima, Chang Dong-Lee risponde fermamente di sì.
Ma altrettanto risolutamente risponde di no all'ultima, cruciale, questione che sembra essere il centro di questa sua opera.
Sì, sembra. Perché in realtà il film descrive con lo stile aulico della poesia una vera e propria discesa agli inferi di tutti i suoi personaggi, il cui degrado morale e la cui assenza di dignità affiorano a galla con la stessa tranquillità e solennità con la quale il fiume trascina il cadavere della povera vittima della vicenda narrata, facendolo affiorare alla vista di tutti.
Lo sguardo di Dong-Lee è sensibile ma anche affilato come una sottilissima lama di rasoio e mi ha ricordato -sia pure con stili profondissimamente differenti- il miglior Chabrol, lo stesso Haneke o addirittura il Lynch di "Twin Peaks". Ad accomunarli la provincia, quella provincia tranquilla "nella quale non accade mai niente" ma dove meccanismi di omertà, ricatto, invidia e crudele cattiveria sono pronti a dispiegarsi in tutta la loro potenza malefica non appena quel "qualcosa" accade. Ed è proprio nell'amenità di un paesaggio pacificante, nell'apparente familiarità che si mostra ben presto come cordialità affettata, nell'apparente solidarismo che in realtà degrada in ricatto, nella forza del denaro come rimedio allo stato di necessità di chi lo riceve e che serve a scaricare comodamente le coscienze di chi lo offre, in tutto questo contesto la provincia e i suoi abitanti danno il peggio di sé, cioè di noi stessi.
Chi ha l'animo sufficientemente sensibile da saper ascoltare anche il lamento delle vittime non può che soccombere rifugiandosi nella funzione catartica della poesia, rimedio poco più che autoconsolatorio (masturbatorio?) e riservato a sempre meno persone. Per la maggioranza, infatti, non resta che l'aridità della realtà e l'avidità come compensazione di tutte le perdite, anche delle persone care.
In questa visione così pessimistica si consuma (o forse si stempera) il sacrificio dell'anziana protagonista (una straordinaria, immensa Yoon Jehong-hee: insieme a Michel Piccoli due grandissimi vecchi in grado di restituirci emozioni straripanti), una donna che riesce ad avvicinarsi al sublime poetico man mano che si allontana dalle parole e da un'esistenza dignitosa e tranquilla: sarà solo vivendo l'inferno fino in fondo che potrà toccare il paradiso creativo tanto invano inseguito nel corso della sua vita.
Sarà solo percorrendo fino in fondo il destino della vittima che potrà far rivivere se stessa e la povera piccola suicida.
Film non facile a causa del ritmo meravigliosamente lento e della scelta stilistica dichiaratamente minimalista del regista, sorretto da una straordinaria fotografia pastello che privilegia i verdi e i blu, con ricorsi frequenti all'instabilità della camera a spalla, con una sceneggiatura solida e classica e un'interpretazione stupefacente, non riesce a essere un capolavoro a causa della prolissità di alcuni dialoghi e soprattutto della debolezza della parte poetica "declamata": d'accordo che il regista abbia voluto metterci di fronte alla mediocrità di chi pensa di essere poeta senza però aver sofferto fino in fondo nel momento presente rispetto a chi invece partorirà della vera Poesia proprio perché quella sofferenza l'ha assunta fin nelle sue più estreme conseguenze, tuttavia la mia sensazione di fronte a tanta verbosità ostentata è stata francamente di fastidio.
Comunque ciò non inficia minimamente il valore di un'opera delicata e crudele che ci costringe a guardare nei nostri meandri più reconditi e bui senza ricorrere ad alcun "effetto speciale": la banalità del Male è così profonda da poter generare Poesia solo attraverso le sue vittime.
In tutto questo, dov'è Dio?
Anch'Egli, come la Poesia stessa, può al massimo aiutarci a una sublime catarsi ma non a salvarci.
pier91  27/05/2011 02:19:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi trovo in disaccordo su qualche punto:
"Può la parola sgorgare rigogliosa dalla progressiva invasione della malattia che più di ogni altra la nega, cioè l'Alzheimer?" secondo me la risposta è no, la malattia ai miei occhi produce quasi sempre un dolore sterile;
"..il film descrive con lo stile aulico della poesia..." a me pare invece che il film succhi dalla poesia non lo stile aulico, quanto piuttosto la sua alta semplicità, se così la si può definire;
"Film non facile a causa del ritmo meravigliosamente lento" a me questa flemma registica ha un po' irritato, ma qui entrano in gioco i gusti personali.
Per il resto, sinceri complimenti

Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  28/05/2011 00:32:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao, caro Pier91!
Beh, suppongo che ti debba qualche controspiegazione...
Il riferimento alla prima domanda era tutto interno al rapporto Alzheimer=sottrazione delle parole/Poesia=ricerca delle parole. La protagonista combatte la sua malattia opponendole caparbiamente prima la Poesia e poi sottraendosi ad essa suicidandosi (così a me è sembrato suggerire il regista) o comunque sparendo dal consesso umano conosciuto: in questo senso, la donna fa una scelta estrema di libertà o quantomeno di ripresa della sua dignità perduta durante le vicende terribili che ha vissuto (e in gran parte subìto).
Tu contrapponi poi lo "stile aulico" a quello "semplice". Beh, io non confonderei uno stile volutamente minimalista (ma comunque sapientemente costruito) con la "semplicità", sia pure "alta". Permango dell'idea che il film narri una vicenda di abiezione con stile aulico e non solo "altamente semplice", perché, mi ripeto, di semplice in questo film non c'è proprio nulla!
Quanto alla lentezza, direi che oltre ai gusti personali forse entri pure in gioco un fattore generazionale: io, all'alba dei miei 44 anni, sono arcistufo della frenesia che già subisco nel quotidiano del reale e cerco quindi un ritorno a tempi cadenzati, più umani. Per cui, anche artisticamente, adoro quei registi che trattano il cinema coi tempi dilatati che il grande schermo su sala può permettersi. Anche in contrapposizione all'invadenza televisiva e dei suoi derivati che hanno fatto del montaggio serrato e della frammentazione semantica dell'immagine una sorta di monopolio della comunicazione. Basta!! Pur apprezzando chi è riuscito a fare della vera e propria Arte con e sulla velocità della narrazione ("Trainspotting", una delle pellicole più ansiogene che abbia mai visto, per me è un capolavoro assoluto dal punto di vista stilistico, per esempio), da qualche anno a questa parte ho preso a farmi coinvolgere di più dai ritmi pacati, lenti, dalle inquadrature fisse, perfezionistiche (ricordi "Lourdes" o "Il nastro bianco"?), dai campi larghi piuttosto che dai primi piani o dai dettagli... insomma, è un modo di dire "ODIO LA TELEVISIONE (per come viene fatta prevalentemente), RIDATEMI IL CINEMA" (con la maiuscola)!!!
pier91  28/05/2011 15:00:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Capisco ora cosa intendevi con il discorso sulla malattia. Per quanto riguarda lo stile del film molto dipende dal significato che ciascuno da' alle parole. A scuola mi hanno abituato, probabilmente a torto, a fare di "aulico" il sinonimo di baroccheggiante e solenne. Ma se per "aulico" intendiamo curato ed essenziale, allora siamo d'accordo!
Sull'ultimo punto, devo darti ragione quando parli di fattore generazionale, anche se per esempio "Il nastro bianco" l'ho davvero amato ("Lourdes" non l'ho ancora visto). Ecco quello stile lento lo adoro, questo di "Poetry" invece mi è parso eccessivo.
Ultima cosa, non molto importante per la verità: sono una lei! Ciao e grazie per le controspiegazioni