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VALLANZASCA - GLI ANGELI DEL MALE regia di Michele Placido

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jack_torrence     7½ / 10  07/02/2011 19:19:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Premessa: son d'accordo con chi giudica le polemiche non solo inopportune (perché è apprezzabile che il cinema italiano si smarchi, come quelli americano e francese, dal senso di soggezione nei confronti della realtà criminale che sceglie di evocare rischiando di "mitizzarla"), ma anche ipocrite.
E a tal proposito basti pensare all'importanza, anche autoreferenziale e quasi metaforica, delle sequenze dedicate alle lettere ricevute in carcere da Vallanzasca, e del suo surreale matrimonio.
In esse, senza troppo sforzo, il regista mostra di voler concentrare la propria attenzione sulla "fascinazione del male", ovvero sulla stessa relazione che si instaura tra il suo film e il suo pubblico. Si tratta, invece che di una pretestuosa "smarcatura" deresponsabilizzante (semmai rischia di essere un boomerang), di un modo, ben fuso con il resto della materia diegetica, di esplicitare il rapporto tra la recezione pubblica di un certo "mondo" e il fascino che esercita il "male".
Il "male" su cui Placido si concentra non è qualcosa di generico e tantomeno di totalizzante.
Il male di Vallanzasca è molto "banale".
La frase chiave è "provengo da un contesto sociale benestante; i miei gesti non nascono dal disagio".
Ciò su cui Placido si concentra, in modo efficace (tanto quanto inefficace e goffo era stato "Il grande sogno"), sono le pulsioni eversive fini a se stesse: frutto non di un disagio sociale o di un'ideologia politica, quanto – esclusivamente? – della frustrazione nei confronti della piattezza educata e ipocrita della "normalità borghese", attorno alla quale la società (nella specie, quella italiana degli ultimi 60 anni almeno) si è edificata.
E' il tema di "Vallanzasca": film forse persino superiore a "Romanzo criminale" sia per compattezza tematica (senza le divagazioni politiche quasi ingenue che il barocco plot di De Cataldo dava all'altro film), sia per l'indubbia padronanza stilistica ed estetica con cui Placido si dimostra qui assolutamente all'altezza (almeno formalmente) di Scorsese.

Se il film accusa una certa ripetitività nella prima parte (che sa di già-visto-tante-volte) la sua seconda parte, quella carceraria, è molto più interessante. E un'inquadratura in particolare non si dimentica, per grandiosa efficacia di messinscena: la "plongée" basculante con cui viene ripreso Vallanzasca e i suoi vicini di cella, isolati da mura di cemento in un carcere di massima sicurezza.

Non sono sicuro infine che i genitori avrebbero potuto uscire dall'anonimato, per essere visti da una distanza più ravvicinata. Non sarebbe però servito nulla di più, anzi, a dire tutto il necessario, quanto alla (umana) genitoriale compiacenza, impotente, di una famiglia di origine la cui impotenza e inettitudine sostanziale al cinefilo non può non ricordare i genitori di Alex, in "Arancia meccanica".
Interessante che Placido abbia voluto che fosse il proprio fratello – così somigliante a lui –a interpretare il padre di Vallanzasca.
andreapau  08/02/2011 09:49:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Complimenti,hai scritto un ottimo commento che condivido in pieno.
Interessantissimo il parallelismo con "Arancia Meccanica" e la riflessione sulla scelta del fratello ad interpretare il padre di Vallanzasca
jack_torrence  08/02/2011 18:18:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie, Mica male pure il tuo, di commento! Abbiamo usato entrambi l'espressione "fascinazione del male" ;)