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REQUIEM FOR A DREAM regia di Darren Aronofsky

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Woodman     7 / 10  22/08/2013 10:32:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il film di Aronofsky non è affatto il capolavoro che a molti è sembrato.

Una regia compiaciuta ed eccessivamente frenetica, carica di tutti quei gerghi, situazioni, grafie che continuano a far impazzire le nuove generazioni sballose e ipocritamente trasgressive, formate ormai da gente prestatasi alla superficialità più conformista.
"Requiem for a dream" è in questo senso ottimo pane per i dentacci marci di skateari che si esaltano nel vedere sequenze riprese col fish-eye, la loro tecnica fotografica prediletta, usata spessissimo in maniera tronfia ed esasperante se non gratuita ed indecente, di presunti fattoni o reali fattoni che si infuocano nel sentire gerghi ricalcati dai loro colleghi preesistiti e vedere attori rigorosamente belli, supercool, che scopano facilmente e dan giù di strippi smascellando con una gran scimmia.
E' un film bugiardo per gente sciocca e bugiarda.
Bugiardo perchè il montaggio fin troppo furbo, di una furbizia proprio urlata e palpabile, scavalca e sotterra la sceneggiatura poco incisiva, ed è ad esso affidato il compito di narrare le vicende degradanti dei protagonisti. Il risultato, attraverso una serie di forsennate immagini da carica pazzesca accompagnate da musiche in crescendo appositamente costruite per loro, potrà mai anche solo sembrare veritiero, verosimile, serio?
Plastifica i personaggi, gli sguardi non sono profondi, la credibilità della distruzione involontaria della madre Sara va a put.tane per colpa di un'inutile e superficiale meticolosità, incredibilmente futile e estetizzante, nella narrazione.
La profondità è azzerata, le situazioni risultano schematiche, Leto è insopportabile.
Ma se c'è una cosa veramente grande in questa furbissima operazione è la performance (pastrocchiata dal montaggio ma non a livelli estremi) di Ellen Burstyn, che si è vista portare via l'Oscar da un'immeritevole Julia Roberts.
Storie semplicissime che potevano far breccia nei nostri cuori attraverso una rivoluzione registica di tutt'altro stampo, attraverso metafore un pelo più "alte", magari levando puntate di onirismo fuori luogo o di imbarazzante piattezza, attraverso un uso più genuino e meno visivo dei mezzi, approfondendo i legami fra i personaggi, gli sguardi, mostrando di più i corpi che si toccano, il dolore, la rabbia, non ridurli a sprazzi, a penellate confuse o opacizzate dall'ormai celeberrimo, giovanile, iperbolico, psichedelico montaggio.
Aronofsky trae godimento nel mostrare cose che, magari a sua insaputa, sono già state mostrate, e meglio. Ma lui si sente ai massimi standard di provocazione e rivoluzione, confezionando una torta assai povera e mal riuscita, ma ricoperta di uno strato decorosissimo che la fa sembrare accettabile.
Il colpo però arriva una volta finito di mangiarla, e cioè quando si assiste ad un finale assolutamente poco ragionato, più frettoloso che dolente, un finale un po' scemo che doveva a tutti i costi esserci, e che regolarmente ha fatto crollare la parte appena precedente, quella sì, bisogna nonostante tutto ammetterlo, davvero capace di un coinvolgimento emotivo potentissimo e destabilizzante nel più autentico senso del termine.
Lì il ritmo forsennato ha ragion d'esserci, le situazioni sono amalgamate sempre più indistintamente e sempre più follemente, in un delirio che sembrava dovesse esplodere in un finale mozzafiato. Ma, sì, ok.

In sostanza "Requiem for a dream" ha da dire/aggiungere ben poco, così come a livello di struttura (l'alternanza e la coralità già riprese in quegli anni da Paul Thomas Anderson), mentre offre sul piano visivo una gamma di eccitazioni varie e variopinte, con un minuzioso e certosino senso grafico che, discutibile quanto si vuole, non è certo trascurabile.
In più è presente un crescendo di ansia a partire dal delirio da pastiglia della Burstyn con la televisione sino all'attimo prima della calma e malfatta parte finale, davvero angoscioso e, suo malgrado, efficace. Tiene letteralmente incollati allo schermo.
Le prestazioni degli attori, Leto escluso, sono di altissimo livello e la fotografia è lucida e brillante.
La musica poi, incalzante sulla falsariga di "Magnolia", è diventata un tema cult, meritatamente.
Non è un film brutto, assolutamente. Ma non è niente di ciò che ci si può, anzi, deve aspettare in positivo da un film del genere. Non ha un grammo in più del necessario in quanto a profondità e tantomeno veridicità. L'esaltazione è puramente grafica, è sul piatto, sottile formato della pellicola, scarabocchiata da convulsioni e sbalzi visivi.

Si può guardare, opportunamente. Senza troppo impegno. E' buon intrattenimento.
Soprattutto per le ultime, patetiche generazioni.