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RAN regia di Akira Kurosawa

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amterme63     10 / 10  26/06/2010 13:03:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'ho visto ieri e sono ancora sconvolto. E' stata un'emozione grandissima, alla fine avevo la pelle d'oca. Lo shock è stato soprattutto spirituale. Finalmente ho capito la vera essenza del termine "tragedia". Sui banchi di scuola si sente parlare di questo termine, si cita Euripide, Shakespeare. La si prende come fosse un'astrazione come tante altre. Ecco, con questo film ho toccato con occhio, anzi con animo, tutto il dolore immenso, la grandissima disgrazia, appunto la "tragedia" della comunità umana che non può esistere senza distruggere, spargere fuoco e sangue, calpestare ogni cosa, ogni valore, ogni convivenza, tanto che alla fine sorgono davvero grossi dubbi su come non si possa arrivare davvero all'autodistruzione. "Tragedia" è quindi la disperazione nel vedere l'esistenza umana collettiva senza sbocchi se non una continua distruzione.
E questo Kurosawa l'ottiene non con il facile effetto, il particolare orrido, lo splatter, ma infondendo nell'animo di chi guarda la strage dei sentimenti e dei valori. Lo splatter è quindi spirituale più che materiale. Il tutto è dipinto con la magnificenza dei colori, delle forme e dei movimenti, con scene mozzafiato da quanto sono maestose, belle, perfette. E' come trovarsi davanti a qualcosa che ti fa rimanere a bocca aperta ammirato.
Il film si basa su questa struttura narrativa: c'è una scena iniziale in cui alcuni caratteri appaiono come buoni e fedeli e altri come cattivi e infidi. Il resto del film serve per svelare a poco a poco la vera natura di ciascuno dei personaggi e arrivare alla conclusione che la verità è in genere nel rovescio di quello che si vede (quello che appare buono è in realtà cattivo e viceversa). E' l'invito universale dei grandi artisti a non fidarsi delle apparenze e a cercare il vero dietro e dentro le persone. Tra l'altro sono errori che si pagano carissimi. Queste persone in realtà ingannano e raggirano per il solo fine personale e non hanno scrupoli o remore: ogni persona, istituto, valore deve sottostare alla loro volontà e alla loro brama. Da qui un continuo fingere, ingannare, uccidere, distruggere senza alcun freno. Eppure ci sono persone assennate che vedono, cercano di dissuadere, ma il loro fare prudente viene scambiato per rinuncia o per debolezza e così che il furore bestiale (la vedetta, la sete di potere) ha il sopravvento e per una legge di onore e ubbidienza tutti sono costretti ad andare dietro a questi folli verso l'autodistruzione (sapendo appunto di autodistruggersi!). Non si contano poi i tradimenti, gli assassinii, i doppi giochi. Insomma una desolazione senza salvezza.
La scelta coraggiosa di Kurosawa è quella di non lasciare nessuno esente da questa peste. Il protagonista stesso (il vecchio re, tipo Re Lear) subisce smacchi di ogni genere ed è naturale prenderlo in simpatia, avere pietà. Allo stesso tempo però viene fuori il suo passato e ci accorgiamo che pure lui era una bestia feroce e crudele. Quindi forse se lo merita? Senz'altro la sventura è il risultato di tutti i suoi atti sbagliati. Lui, ingannatore e traditore, come poteva pretendere lealtà e rispetto dai figli? E' chiaro che questi hanno imparato la lezione e lo ripagano con l'identico trattamento che lui riservava agli altri.
Eppure c'è chi non cede a questo circolo vizioso, c'è chi usa il perdono e anche il pentimento (il vecchio re stesso). Queste persone "positive" che sentono veramente e sinceramente sono però deboli, rinunciatarie, perdenti. Davvero, meglio non farsi tante illusioni.
Sarebbe sufficiente tutto questo per fare un film capolavoro, ma a Kurosawa non basta. Anche l'immagine deve parlare. Si rimane incantati fin dalle prime immagini. Distese verdissime di colline erbose, altipiani di lava nera, le nuvole nel cielo, radure, fiumi, interni essenziali: ogni scena bellissima e suggestiva. Tutto però serve per dare la giusta atmosfera, non sono mai immagini che sovrastano il significato della storia. Anzi sono loro che comunicano la tensione emotiva.
Kurosawa in tutti i suoi film aveva volutamente evitato di creare "spettacolo" fine a se stesso con le azioni; le battaglie, i duelli sono tutti molto brevi, intensi, a volte suggeriti o rappresentati simbolicamente. Qui invece decide di entrare nel vivo. Per la prima volta inscena a lungo delle battaglie e come le rappresenta! C'è una scena in cui una struggente musica funerea fa da sottofondo a immagini cruente, terribili, poi all'improvviso scoppia il sonoro ed è una mazzata. Veramente non c'è niente di eroico e spettacolare ma tanto di distruttivo che prende quasi il magone.
"Perché l'uomo preferisce il lutto alla gioia? Perché per sopravvivere deve pensare che sia necessario ammazzare?" ed ecco seguire a queste sconsolate parole la scena della battaglia finale con la sua solita carneficina. Il messaggio delle ultime immagini è poi di un simbolismo sconsolato. Niente, dopo questo film si vede quanto è successo, succede e succederà con occhi diversi.
Peccato solo per la recitazione non eccelsa degli attori, ma veramente alla fine non ci si fa neanche caso.