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SORELLE MAI regia di Marco Bellocchio

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     5½ / 10  17/03/2011 02:27:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Stavolta l'amato Bellocchio è riuscito a indispormi, e lo fa con un film ambivalente e ambizioso (sulla carta) dove è facile riscontrare che non sempre l'intellighenzia cinefila è sinonimo di qualità. In effetti "Sorelle mai" è il classico esempio che non sempre un prodotto ineccepibile, tecnicamente quasi magistrale (la regia, anche quando fa sfoggio di sè, c'è eccome), ben fotografato e recitato da buoni attori, dev'essere comunque un prodotto riuscito. I pregi sopracitati valgono ben poco se messi al servizio di una mise in scene dove si riscontra, guardacaso, il vuoto ideologico e umano dell'Arte.
Sono convinto che Bellocchio, nel suo esilio autobiografico (con tanto di parenti presenti stile Minnie § Moscovitz) tenga molto a questo film, ma è davvero solo lo smacco narcisista di un'autore presuntuoso che ottiene i risultati migliori (questo lo dovrebbe far riflettere) quando non abusa delle sue capacità tecniche e (presumo) filosofiche.
Parte come un rischioso ritratto d'ambiente à la Pupi Avati - quanto di più lontano possibile dal regista di "I pugni in tasca" - poi via via cerca di addentrarsi in territori tipici di Gianni Amelio o di Ermanno Olmi.
Ma se Amelio è un cineasta che osa esprimere ogni minimo particolare, come si spiega l'incapacità di Bellocchio di comunicare attraverso una ricerca ermetica, chiuso nel suo simbolismo astratto, in questo progressista superbo che osa citare Proust o Fellini, il collega Agosti o nientemeno che Socrate?
Partiamo dalla storia, allora. Diciamo che l'unico personaggio che comunica vera intensità è quello della ragazzina, mentre le rimanenti figure sono abbozzate, come le ziette da presepe che ricordano vagamente quelle di The Dubliners di Joyce, o il personaggio del nipote, abbastanza spregevole da suscitare nello spettatore più indifferenza che empatia.
Troppe cose sono forzate, come la nostalgia per il mondo rurale di un tempo (effetto-Avati, imperdonabile infezione) e, in definitiva, per quell'universo dove non contava solo il denaro, ma l'affetto familiare (patriarcale toh).
Intendiamoci, è un film di alta scuola cinematografica, roba per corsi di cinema et similia, ma artisticamente irrilevante se si vuole valutare un soggetto che esprime, a priori, concetti più convenzionali delle sue alte pretese