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HEREAFTER regia di Clint Eastwood

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  09/01/2011 23:32:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Hereafter, hereafter, hereafter, cronaca di un capolavoro annunciato. Deluso? Beh comincio a dire che non condivido una sola parola di Donatello Fumarola, questo tipo di kritika (con la k) che sembra erudirci dell'essenzialità teorica delle sue "fisse". Non è necessario che sia il vecchio Clint (come solo lui?) a rivelarci quel baratro assoluto o parziale che è la vita dopo la morte (?), solo perchè il mondo è pronto ad accoglierla nella sua fragilità.
Fatta questa premessa, "Hereafter" è - sulla carta - una gigantesca osmosi naturale - o per meglio dire di destini incrociati - dove si spezzano molte ali, quelle dei sopravvissuti neutrali e/o di coloro che portano i segni del lutto o della dipendenza. In queste storie parallele, Eastwood tratteggia mirabilmente le diverse "reazioni", fino al singolare caso - forse il migliore di tutti - della spasimante di Damon quando preferisce far "morire" una relazione prima ancora di viverla per la morte interiore (cioe' la sopravvivenza repressa) di uno squallido trauma familiare.
E' un caso se il personaggio più emozionante sfugga al retaggio interrogativo tra passato e presente?
Bellissimo è il personaggio di Marie, collocato però al centro di una storia amorosa più patinata che sensuale.
Quello più dickensiano, del piccolo Markus, sfugge a qualsiasi catalogazione: la forza di un legame che si spezza improvvisamente rischia di deviare in un percorso sovrannaturale degno del primo Shyamalan.
La vicenda di George, che dovrebbe riguardarci più da vicino, è praticamente omessa dallo script. Il suo dono/maledizione non fa che erudirci - complice l'ottima prova di Matt Damon - sulla possibilità che esista un confine labile tra scienza (paranormale) e religione, ma questo è un tema già affrontato in altre sedi, v. lo stesso Signs di Shyamalan.
Il punto di forza del film, che già di per sè è enorme, è appunto che questa collettività sia pronta a interrogarsi (o a placare le nostre paure?) per non cedere al ricatto della rassegnazione. I grandi interrogativi sulla vita e sulla morte portano lo spettatore a confrontarsi - e questo è inevitabilmente un segno a favore di Eastwood ma anche una forma di involontaria furbizia - con le proprie emozioni, con i tumulti e il dolore davanti ai propri cari passati a un'altra "vita" (ehm).
Ciò che però lascia leggermente insoddisfatti è proprio il modo invadente e tutto sommato convenzionale di Eastwood di affrontare questi espedienti. Più volte la sensazione di trovarsi di fronte a un ottimo adattamento di un bestseller da lettura estiva prevale, nonostante si citi il grande Dickens, e forse più come un tentativo di deviare dalle risposte, visto che alla fine le parole del noto letterato inglese sembrano - per fatalità di intenti e analogie - quelle del psicologo contemporaneo Oliver Sacks.
"Hereafter" è un film misurato e credibile quanto basta, coraggioso nella sua capacità di non sfiorare mai la deriva e i clichè (fantastica la rappresentazione quasi folkloristica dei ciarlatani à la R. Altea che spillano denaro e illusioni al ragazzino che ha perso il fratello), ma incapace di reggere a lungo la sua emotività. Perchè alla fine George diventa l'elemento più contrastante della vicenda, reo di allontanare il mondo che ha vissuto con le sue doti preveggenti, ma al tempo stesso colpevole per ritrovarsi nonostante tutto a cercarlo. Perchè non sembra sempre convinto dei traumi che vive nella sua mente - lo dimostra la patetica seduta con il ragazzino - perchè sembra accostarsi a un "mistero" come una condanna perenne alla sua sensibilità e carenza affettiva.
Resta pertanto un grande film incompiuto, con la grande sequenza iniziale atta - quella sì - a concepire l'imprevisto come segno labile della debolezza del mondo e della sua (r)esistenza