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HEREAFTER regia di Clint Eastwood

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jack_torrence     8 / 10  12/01/2011 15:53:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Hereafter" è un film magnifico.
Non parla davvero della morte e dell' "aldilà": parla piuttosto delle perdite e delle "cose rimaste in sospeso". Ma anche questi, in realtà, sono poco più che spunti narrativi per parlare delle solitudini dell' "aldiqua" - e del bisogno di amore.

Le vicende dei personaggi possono sembrare esili? poco interessanti? Ma sono molto più interessanti, invece, di quanto lo sarebbero intrecci "forti" o "originali" in superficie: tanto più belle e più vere mi appaiono le sfumature interiori dei personaggi, ciò che di essi ci viene svelato da momenti riusciti e intensi per scrittura, interpretazione e direzione degli attori veramente notevole. "Hereafter" è un film intimista.
(Ho apprezzato tanto più il tono "minore" e "minimale" di questo film, quanto più sono abitualmente scettico verso il massimalismo non troppo privo di retorica - secondo me, anche se di una retorica "asciutta" - dei film sin troppo osannati di Eastwood. Non sbagliava per nulla, qualche giorno fa, Lietta Tornabuoni - scomparsa l'altroieri - a menzionare Carver, in merito a questo film).

Tutti i personaggi, prima di perdite luttuose (che non tutti hanno), vivono una condizione di SOLITUDINE INTERIORE. Questo, su cui si concentra la splendida sceneggiatura di Peter Morgan, è un soggetto centralissimo dei nostri tempi. Forse, è - o dovrebbe essere - "IL" soggetto più importante, dei nostri tempi.
Sotto la superficie delle nostre relazioni affettive e delle nostre frenetiche attività quotidiane, professionali e personali, si spalancano vuoti in cui i nostri bisogni affettivi, di condivisione di noi stessi e delle nostre esistenze, non trovano interlocutori, o, peggio, scoprono nelle persone cui facevamo affidamento un'assenza di condivisione, una carenza di disponibilità a comprenderci e seguirci nella nostra più profonda intimità.
E' ciò rappresenta, al suo cuore, la vicenda della francese Marie.
Analoga l'esperienza di George, splendido personaggio tratteggiato con delicatezza da Matt Damon: cuore solitario, e con un fratello che rappresenta la punta di iceberg di un mondo che vede la sua "dote" come una possibile (ma illusoria) via per sedare il senso di solitudine e i rimorsi che circondano le perdite e i lutti. E lui frustrato dall'essere strumento, mero "ponte".
Il personaggio più bello è forse quello di Melanie, una Bryce Dallas Howard quasi struggente. Tale è l'intensità con cui trasmette il bisogno di superare la sua solitudine sentimentale, che tanto più fa male poi fare i conti con il suo dolore e la sua ferita nascosta, che si oppongono come un muro sulla strada della sua serenità.
La vicenda di Marcus, in cui echeggiano lontane reminescenze KenLoachiane, scaturisce da una condizione di disagio sociale ed esistenziale (vedere alle prese con essa, "dickensianamente", un ragazzino, non può non toccare emotivamente). Marcus è un ragazzino precocemente solo, privato dalla vita prima del padre, poi di un fratello gemello, e poi pure della madre che le viene sottratta da quei tremendi servizi sociali britannici che Loach ci ha insegnato a temere con tremore. (A lui Eastwood concede qualche tocco di precoce maturità morale che rimanda ad alcuni personaggi adulti positivi di altri suoi film).

Queste vicende lontane e irrelate, vengono rapidamente strette tra loro in un finale cui alcuni rimproverano dei difetti: una improbabilità casistica che ne farebbe un esempio di film costruito a tavolino, lontano dalla realtà, e pure anche un tono eccessivamente consolatorio che la butta in salsa melensa, vicina a un "La vita è meravigliosa" di Capra.
Ebbene, per me il finale non depotenzia affatto il film.
Il caso, dicevo; la "casistica".
Intanto, la connessione conclusiva delle tre storie è improbabile soltanto nell'ottica di chi considera l'improvvisa connessione drammaturgica di tre storie sommamente semplificativa, finalizzata solo a chiudere un film e una tesi.
Non la vedo così. Si dovrebbe ragionare "a converso": partire dalla fine, dove le 3 vicende si sono incrociate, e considerare poi che di esse si è voluto seguire linearmente lo sviluppo "ex ante". Niente allora di più normale.
Storie affini si incrociano - o, più spesso, si possono incrociare (ma non lo fanno, sfiorandosi solamente e mancando l'incontro) - sotto i nostri occhi, quotidianamente.
Le nostre solitudini hanno una matrice comune, e siamo assai prossimi, gli uni agli altri, più di quanto le nostre sofferenze (che ci dividono) ci portano a credere.
Ma per accorgersi di questa prossimità, occorre effettuare scelte: fermarsi a cogliere opportunità. E poi lavorarci sopra. E, se si tratta di incontri, occorre che la disponibilità sia di entrambi. Più comune lasciarsi sfuggire le opportunità, più comune avere paura o scarsa disponibilità.
Probabile che la disponibilità invece ci sia, e sia reciproca, quando a incontrarsi sono due come George e Marie, accomunati da esperienze analoghe (non le esperienze "paranormali": ma le esperienze di solitudine in cui si sono - a causa di quelle - ritrovati). E si badi che il loro è un finale aperto, in cui è lasciato allo spettatore immaginare un determinato "esito felice" - che in realtà sarebbe solo un illusorio inizio - e che vediamo soltanto nell'immaginazione di George.

Il finale di questo film ci vuol dire dell'importanza di ciò che quotidianamente trascuriamo.
Quello che consideriamo "caso" e che nasconde potenzialità immense. Nel film stesso, il rifiuto di queste potenzialità ci è stato mostrato esplicitamente dal personaggio di Melanie.
Molte scelte non le compiamo, molti incroci restano irrisolti, perché trascorriamo attraverso le nostre esistenze A OCCHI CHIUSI, senza essere esercitati a riconoscere i sapori... (Ecco che scopro il senso di una sequenza che diventa di colpo significativa, quella in cui occorre riconoscere i sapori a occhi chiusi alla scuola di cucina! non può essere un caso, è in affinità con le suggestioni più forti che comunica il film).
Molti più "casi" sapremmo riconoscere, insomma, e destini simili ai nostri incrociare, se riuscissimo a essere meno racchiusi in noi stessi, e scettici verso le opportunità che appunto il "caso" ci può offrire.
Viviamo con uno scetticismo quasi innato, proporzionale alle nostre disillusioni/delusioni e alla carenza di attenzione per la dimensione interiore.
Dimensione interiore e spirituale che è l'unica entro cui può alimentarsi la nostra felicità, senza assolutamente per questo aver bisogno di tradursi in forme religiose o credulità consolatorie nel trascendente.
Il razionalismo dominante dei nostri tempi ha inibito nella società occidentale la capacità di vivere in maniera soddisfacente la dimensione spirituale, ed ecco allora che essa cerca (e si illude di trovare) sfogo in forme di credulità che pretendono una dimostrazione immanente della dimensione metafisica: una richiesta contraddittoria che è solo lo specchio di un'insoddisfazione latente.

Di tutto questo "Hereafter" parla, forse mancando di districarsi appieno nelle trame del "paranormale" (ossia di quella che ho chiamato pretesa contraddittoria di una "dimostrazione immanenete della dimensione metafisica") insito nella dote posseduta da George.
Soprattutto tale dote, ma anche l' "esperienza" fatta da Marie, sono (quasi) meri pretesti: ma sono un po' troppo concreti per non "pesare" eccessivamente sulla delicatezza d'insieme.

"Hereafter" resta comunque per me assai felice, importante, e soprattutto mi appare un film da sviscerare, ricco di stratificazioni e suggestioni non immediate. La complessità con cui si confronta è tale che non tutti possono cogliere il senso di suggestioni che possono quindi essere male intese - e questo può essere da altri considerato un limite di una pellicola ostica e meno "piana" di quello che appare. Per me, invece, questo è un motivo di valore, di cui gli altri (anche i migliori) film di Eastwood erano privi: essi mi si presentavano sin troppo "squadernati" e espliciti nei loro "messaggi" sin dalla prima visione. Il che priva secondo me un'opera di quel "mistero" che fa venire desiderio di rimirare e contemplare un'opera d'arte mai sazi: è stato uno dei motivi per cui sinora non ho avuto modo di apprezzare davvero Eastwood come "autore" di cinema. Troppo didascalico: carico di suggestioni immediate, povero della capacità di lasciarmi risonanze interne anche dopo la visione.
"Hereafter" è a mio avviso il suo film migliore.
Pasionaria  13/01/2011 14:57:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Letta ora, ti rispondo a caldo: ottima analisi!

Sul finale tu e Kater mi state convincendo a rafforzare la mia intuizione iniziale che, però, si era persa nella forma un poco stereotipata delle ultime sequenze: avrei preferito che Matt Damon non immaginasse nulla sul futuro dell'incontro con la giornalista francese, una stretta di mano e titoli di coda.
Avrei preferito anche che la sequenza relativa alle rivelazioni di Matt al ragazzino avesse meno elementi "paranormali", tutto ciò mi è parso una forzatura che ha incrinato la splendida poesia dell'intero racconto. Il film tuttavia resta molto bello
Gruppo STAFF, Moderatore Kater  13/01/2011 20:27:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
No, ecco, però vorrei dire una cosa sulla scena tra DamonD e il ragazzino. A mio vedere il suo difetto è semmai l'essere un pò didascalica ma è piuttosto coerente con l'idea che persegue il resto del film. Il fratello praticamente dice che vabbè, lui c'è nell'aldilà ma questo non vuol dire nulla, non sarà lui a salvargli la vita, in senso sia materiale che spirituale (un pò come in Shining, quando Danny avrà pure lo shining ma se si vuol salvare non gli servirà, dovrà usare la testa camminando alla rovescia in un labirinto). La scena del cappello, oltre ad esaltare la meccanica del caso, sottolinea ancora che solo noi possiamo salvare noi stessi.
jack_torrence  13/01/2011 15:11:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
D'accordissimo sullo strabordare degli elementi paranormali impropri nelle rivelazioni di Matt al ragazzino, a freddo, ricomprendendoli nella mia analisi (che ieri a quest'ora li aveva espunti), quella sequenza è una vera e propria caduta di sceneggiatura.

Sulla stretta di mano e basta tra Damon e la De France, mi trovi potenzialmente d'accordo. E' plausibile che sarebbe stato meglio, tuttavia, onestamente, da quella "immaginazione" non son rimasto infastidito. O meglio lo sono stato mentre durava, poi ho tirato un enorme sospiro di sollievo rendendomi conto che era solo la sua fantasticheria. E' una fantasticheria psicologicamente attendibilissima; pensare che sarebbe stato meglio evitarla, nel film, è questione di sensibilità e gusti individuali.
Ritengo però che Eastwood, se si è posto (come spero) un interrogativo a riguardo, abbia optato per mantenere la scena, con motivazioni estetiche che avrà ritenuto corrette.
Non escludo che magari lo script prevedesse quella scena nella realtà e non nell'immaginazione, e che renderla una "reverie" sia stato un escamotage/compromesso tra regia, sceneggiatore e produttori.
Il celebre caso di Blade Runner è da tenere a mente.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  20/01/2011 23:13:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma perché parlate di happy end? Nessun* ha considerato che in realtà non sappiamo come andrà a finire quell'incontro (siamo noi a proiettarci la voglia che riesca!): George per la prima volta non ha più visioni certe sugli altri e prende a immaginarsi, a "farsi film mentali" su come vorrebbe che le cose gli vadano; ma solo la realtà potrà confortarlo o meno sui suoi convincimenti. Insomma, da visionario unico diventa sognatore banale, cioè diventa uno di noi. Recupera quindi tutta la sua dimensione umana. Alla faccia del finale banale!!!
jack_torrence  21/01/2011 01:00:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma infatti Luca! D'accordissimo con te, sul punto: infatti io non credo di aver parlato di happy end, e di certo ho scritto: "badi che il loro è un finale aperto, in cui è lasciato allo spettatore immaginare un determinato "esito felice" - che in realtà sarebbe solo un illusorio inizio - e che vediamo soltanto nell'immaginazione di George". ;)

Cmq innegabilmente il finale è un happy end per il pubblico, e non dico questo in senso negativo o spregiativo. In certi casi l'happy end è necessario o funzionale al tracciato della storia. In questo, è stata fatta una scelta che rende il finale "catartico" senza farlo scadere in una melensità esplicita e posticcia.

Io infatti ho dei dubbi sulla necessarietà di tutto il verboso discorso "visionario" (e azzeccato, nei riferimenti: il cappello, la metropolitana) di Damon al ragazzino. Meno dubbi su come è stato impostato il finale, che non mi è dispiaciuto.
Cinema is Dead  13/01/2011 10:41:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi

Perchè, trovi forse che l'ostinazione ossessiva nell'inquadrare un cartellone (griffato Blackberry) per simboleggiare e riflettere lo status sociale vincente o meno della protagonista non sia di per sè scelta metaforica banale, pedante, semplicistica od evitabile?
Personalmente non ritengo Eastwood un direttore di scena eccezionale: è un buon regista di film semiautoriali sicuramente appetibili ma perennemente affetti da una certa dose di retorica e moralismo, vestiti di nero per sembrare asciutti.
Anche facendo tale considerazione, trovo che questa ed altre banalità non fossero indispensabili.

E probabile che non sia riuscito a far mia l'essenza del film, del resto avendo letto sulla questione sia da un punto di vista teologico (religioni orientali annesse) ed esoterico/occultista e aspettandomi un minimo di prospettiva tematica, è anche possibile che questa ''essenza'' io non l'abbia nemmeno intravista da lontano. E in fondo anche a chi si avvicinasse di fresco alla problematica aldilà questo prodotto non offre molto di più che un insieme di stereotipi ormai largamente diffusi e qui declinati con grazia e sentimento. Insomma, ho l'impressione che più che un fuoco centrale e sviluppato l'aldilà sia stato per Eastwood un semplice pretesto abbozzato per condire in modo originale una vicenda fictional a tratti piacevole e interessante, ma che sia tecnicamente a livello di intrecci (Amores Perros?) sia a livello di sviluppo della trama va a parare da qualche parte in modo molto frettoloso e indeciso.
Qui si tratta come sempre della capacità (?) indubbiamente cinica di esternarsi dal flusso emotivo che un film ti impone (ma non sarei capace di farlo vedendo ad esempio Blade Runner, Il Cacciatore, Hana-bi oppure Idi i smotri) e giudicarlo freddamente per quello che cinematograficamente è, nè più nè meno. Logico è che più argomentazioni vengono in mente, più si scrive.

Del resto ho notato che nel contesto del tuo bel commento al film nemmeno tu ti sei esento da un certo gusto della grafomania, con la differenza che ciò che dal tuo traspare è un rispettabilissimo apprezzamento del film scritto evidentemente con il cuore in mano.
Detto ciò, pur ringraziandoti per i mezzi complimenti, non mi piace molto chi sta nè qui nè là, chi critica su e apprezza di giù, chi dà un colpo al cerchio e uno alla botte: non mi piace Casini e forse non mi piaci neanche tu. Sostieni infatti che il rimprovero della grafomania autocelebrativa (fatto dal gentile Mario Sapia, presumo) non è pertinente in questo caso, però lo trovi generalmente sacrosanto e legittimo e guarda caso lo vieni a dire a me, quasi come a lanciarmi un piccolo avvertimento; dico cose interessanti e ben argomentate ma sono evidentemente anche e tronfio e saccente, forse proprio perchè stronco parzialmente; non parlo a vanvera ma appaio cinico e sensazionalista.
Insomma, a me pare che tramite un procedimento forse nemmeno del tutto onesto mi consideri paternalisticamente come un verboso, retorico e saccente guastatore a cui, poverino, va anche riconosciuto qualche piccolo merito. Se io avessi scritto lo stesso numero di parole, con la stessa frequenza di vocaboli formali e perifrasi articolate MA lo avessi fatto nel contesto di un commento del tutto positivo con un bel 9 di voto, sono quasi aritmeticamente certo che ti saresti calorosamente e pienamente congratulato con me, dovendo scrivere una risposta al mio commento. E in piccola parte lo hai già fatto e questo perchè non sei un provocatore gratuito e qualunquista come Mario ma sei uno che in cuor suo sa bene che nella lunghezza, nell'argomentazione, nella cifra sintattica e nell'esposizione civile delle nostre attuali ''recensioni'' io e te non siamo poi molto diversi. Semplicemente la pensiamo in modo radicalmente opposto, e forse è questo che ha provocato il vago fastidio che traspare da alcune tue frecciatine ben poco argomentate.

Condivido pochi elementi della tua lunga opinione al film (che avrei comunque piacere di commentare e dibattere in modo sistematico se troverò il tempo di farlo) ma non la trovo saccentemente grafomane nè eccessivamente verbosa nè retorica o tronfia: la apprezzo e la rispetto pienamente per tutte le motivazioni sopra trattate. Apprezzo insomma il tuo contributo al livello intellettuale del sito, indipendentemente dalla tua bandiera.
jack_torrence  13/01/2011 14:10:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Guarda, Cinema_is_Dead, il parallelo con Casini è divertente perché è la prima volta che salta fuori, e non mi ci ritrovo dunque è divertente per questo.
Io comunque ho risposto al tuo commento spinto dall'impulso di condividere alcune notazioni di tal Mario Sapia, e quando scrivi "paternalisticamente" cogli in un certo qual modo nel segno. La grafomania ci unisce, è indubbio; ha radici però diverse, credo. Per me è un difetto che non riesco sempre a controllare (men che meno nelle recensioni vere e proprie che faccio con il mio nome). Non te la critico in se stessa, ma trovo che tu abbia delle buone argomentazioni affette tuttavia da un radicalismo in cui io leggo sia la competenza di cui giustamente ti fai forza, sia l'orgoglio che ne deriva, un po' sprezzante (e questo indipendentemente dal film che commenti, se ti è piaciuto o meno), in cui - te lo dico sinceramente - non prendo di mira tanto te, quanto soprattutto il me stesso di qualche anno fa (e non troppo lontano: basta che cerchi il primo commento che feci su questo sito, con un link a una mia stroncatura de "Il cacciatore di aquiloni" di cui non sono del resto affatto pentito!). Il punto è: essere cinici (io ho usato per te l'aggettivo "clinico" che è ben diverso, comunque) preclude la capacità di penetrare i significati di un'opera.
Io, consapevolmente, sto orientando il mio metro di valore in senso sempre più contenutistico. Riservo i 9 o i 10 per i film che hanno, secondo me, anche un grande valore estetico. Non disdegno l'8 (il voto che ho dato a questo film) quando voglio premiare i contenuti.
Un tempo, quando ero più "cattivo", e stimavo per esempio il celebre giudizio di Rivette su "Kapò" di pontecorvo (Rivette giovane disse che pontecorvo si era, con un piano sequenza, reso degno del "più assoluto disprezzo"), avevo vissuto un po' meno e certe cose "della vita" mi toccavano semplicemente di meno.
La capacità di analisi linguistica di un testo, cinematografico in questo caso, può maturare in tempi più veloci della capacità di intendere i contenuti emotivi (oltreché meramente razionali) di un'opera.
Sarà anche che apprezzo particolarmente la sensibilità femminile, però leggi in questo senso gli ironici riferimenti al rico-glionimento e alla senilità del commento di Kater a Hereafter.

Sono persuaso che si può essere le persone più dotte del mondo ma "senza l'amore, a nulla vale" (Paolo, Corinzi I - e con questo fatti cadere le braccia): in questo contesto la mia citazione preferita mi viene in mente perché si può conoscere tutto di teologia e di tutte le religioni del mondo, ma occorre l'empatia umana, la "pietas" (paolina? non solo, quella di Enea pure!), per farsi toccare dai personaggi di Hereafter, abbandonare un approccio critico meramente razionale e formale, e vedere quanto non parli, il film, dell'aldilà, ma di vite dell'aldiqua.
Del resto, ciò che nel film non mi ha convinto è il modo in cui viene trattato tutto il "coté" paranormale. Che però non ritengo minimamente centrale, anche se prevedibilmente tira su di sé tutte le attenzioni degli spettatori. Che, concentrati su di esso, restano poi sbigottiti dalla pochezza del relativo messaggio (in realtà non ve n'è uno preciso), omettendo di concentrarsi sulla grande ricchezza che il film possiede nel raccontare delle vite dei suoi personaggi (cosa su cui si intrattiene per almeno il 90% della sua durata).
jack_torrence  14/03/2011 17:58:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ABBASSO IL VOTO A 7,5

E ovviamente mi pento e mi dolgo con tutto il cuore della sentenza conclusiva: il film migliore che io abbia visto di Eastwood è "Lettere da Iwo Jima".
jack_torrence  14/01/2011 20:41:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ERRATA CORRIGE!
Il film migliore di Eastwood è "Lettere da Iwo Jima"!
Niente di comparabile con "Hereafter".

Se mi posso permettere di inventare un voto, per me sarebbe un 7,75. 8 è troppo, rivalutando con distacco anche il "coté" sovrannaturale del film, o paranormale che dir si voglia.
Flavietta2  15/01/2011 21:39:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Considera questo coem 8- e l'altro come 8+ e il problema è risolto.
Invia una mail all'autore del commento franx  12/01/2011 22:52:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
...Cavolo se mai dipingerò qualcosa mi devi dare il tuo numero, con una recensione così mi organizzano tutte le mostre che voglio e diventiamo ricchi!
jack_torrence  13/01/2011 00:40:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
giuro - sarà che son rinco - non ho capito!
Qual è il nesso pittura - recensione? E' ironico (o sarcastico), l'ho capito: ma non ho capito il senso
Gruppo STAFF, Moderatore Kater  12/01/2011 21:47:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
eheh, vedo con piacere che la la schiera dei rincoglìoniti si infoltisce!
Complimenti Jack, sempre puntuale e capace di ottimissime analisi. Sulla scia del sentimento comincio anche io a pensare che sia il suo film migliore (se la gioca con Mystic River) perchè riesce ad essere delicatamente forte e struggente, perchè le solitudini di cui sommessamente parla sanno di vero.
Inoltre, io che odio gli happy end (ad esclusione di quelli dei film di Capra però) mi sono ritrovata commossa proprio perchè questo non l'ho visto come tale; non una forzata conclusione paracula per compiacere lo spettatore ma il punto di svolta per chi ha osato, per chi si è aperto alle possibilità di cercare un simile o di risolversi.

O forse è solo un pò di demenza senile.
jack_torrence  13/01/2011 00:57:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Lo dovrei rivedere, Mystic River. L'ho visto solo al cinema, e preparato da una critica unanimemente osannante, mi deluse un po' (non avevo mai visto nulla di Eastwood, allora). Avevo 25 anni ed un approccio "critico" arrembante, severo senza molta esperienza e con ancora troppi preconcetti.

Capra ancora non lo conosco per niente, tranne il film che ho citato che mi è capitato di vedere prima di Natale. Eh sì, è una grave lacuna.

Quello che dici sul fatto che il finale di questo "Hereafter" non sia nemmeno un happy end, né una conclusione paracula ma "il punto di svolta per chi ha osato", è una gran bella prospettiva sotto cui vederlo, e mi trovi ancora una volta completamente d'accordo.

Ciao Kater
VincentVega1  13/01/2011 11:58:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
continuate così e potrete aprire un circolo arci.

a parte gli scherzi, jack gran bel commento, al di là del fatto che non sia d'accordo su praticamente nulla.

però, permettimi, mi dissocio completamente e con tutte le forze dalla tua considerazione finale.
jack_torrence  13/01/2011 14:30:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma la mia considerazione finale, Vincent, discende dal fatto che prima di vedere questo film non ho mai apprezzato davvero un solo film di Eastwood.
Questo, che è parecchio diverso da altre sue storie (tutto merito o demerito della sceneggiatura di partenza), mi ha toccato molto più nel profondo.
Probabilmente, anche se con "Hereafter" c'entra ben poco, non sopporto nei film di Eastwood tutti i valori "di destra" che emergono a ogni piè sospinto (senso dell'onore, integrità, disciplina, dignità morale, repulisti sociale, tutto molto squadrato e fiero), e mi hanno impedito di stimarne la "poetica" (sempre che ne abbia realmente una).

Dopo "Mistic River" (visto nel 2003 al cinema e che ora non sono in grado di giudicare senza rivederlo), i miei giudizi ai suoi film si riassumono in questi numeri:
Gli spietati - 7 (commentato qui su FS)
Million Dollar Baby - 7
Flags of our father - 6
Lettere da Iwo Jima - 8 (questo, in effetti, mi piacque molto, e si merita lo stesso voto di Hereafter)
Changeling - 7
Gran Torino - 6,5 (mi irritò non poco la parabola autoreferenziale di quel vecchio idiota conservatore che tardivamente s'immola per il ragazzino coreano - gli riconosco solo di essere un film classico innegabilmente ben fatto)
Invictus - 5,5 (commentato qui su FS).

NB ho vissuto un'esperienza personale affine alla vicenda di "Million dollar baby" nello stesso periodo in cui vidi il film la prima volta al cinema: non credo di non averne vissuto pienamente il senso. Per me resta un film buono. Con tutto che ne condivido pienamente la "morale", senza riserve, non ha ancora assunto per me un valore superiore


VincentVega1  13/01/2011 15:26:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ah ecco, quindi nasce tutto da una visione completamente diversa che abbiamo del cinema di eastwood. pensa che per me i suoi film migliori sono quelli premiati con l'oscar (mi riprometto di leggere il tuo commento su unforgiven). e, per esempio, per me invictus è un film con i controcatzi che si conclude superbamente con quella partita a rugby.

la cosa che mi fa strano è come molti che hanno apprezzato il film ostentano questa cosa del "film che non rispecchia i canoni tipici di hollywood". è sicuramente una affermazione vera, ma ciò non vuol dire necessariamente che il film sia riuscito e non deve essere una nota di merito (secondo me un genio contemporaneo che parla straordinariamente di storie di disperazione dell'al di quà è inarritu, i suoi sì che sono film che amo - tant'è che aspetto alla follia biutiful). a proposito, che ne pensi di inarritu (è brutto tirarlo sempre in ballo quando si parla di questo film, ma non può essere altrimenti)?
non lo so, ho sempre cercato di valutare un film all'interno dei suoi minuti di durata, esulando da spazio e tempo.
jack_torrence  13/01/2011 15:44:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
per me la questione hollywoood - non hollywood lascia un po' il tempo che trova.
La realtà delle produzioni americane (incluse quelle "indipendenti", o presunte tali) penso sia più complessa di questa dicotomia vagamente manichea.

Il mio scetticismo su Eastwood non deriva dal suo essere ben inserito negli stilemi classici di Hollywood, né tantomeno il mio istintivo apprezzamento di questo film qui deriva dal fatto che esso sarebbe meno hollywoodiano.

Quanto a Inarritu, ho grande apprezzamento per AmoresPerros; mi irritò e deluse un po' "21 grammi" (ma dovrei rivederlo, e non escludo di poter cambiare completamente giudizio); conosco bene "Babel" (avendoci lavorato in un cineforum) ma lo reputo con un pizzico di scetticismo in più rispetto ad "AmoresPerros", dovuto essenzialmente alla spropositata ambizione.
Ritengo che nel caso di Inarritu vada recuperato, nel bene e nel male, il peso dello sceneggiatore Arriaga, ai cui intrecci il talento di Inarritu ha regalato una marcia in più (vedi il fiacco esordio alla regia di Arriaga stesso, "The burning plain"). Curiosamente, c'è una analogia nei rapporti tra i due e quelli tra Eastwood e Haggis, che tuttavia dietro la macchina da presa sembra cavarsela un pizzico meglio di Arriaga (pur restando troppo "sceneggiatore" e poco "regista". Per me "Crash" di Haggis è stato sopravvalutato; come è stato sottovalutato "Nella valle di Elah").
Come voti potrei dirti Amoresperros 8 e Babel 7 e 1/2.
Tieni conto che son voti ponderati dal tempo e con freddezza.
Il mio 8 a Hereafter assomiglia più al 7 e 1/2 di Babel che all'8 di Amoresperros.


VincentVega1  13/01/2011 17:29:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
riguardalo 21 grammi, anche a me dopo una prima visione fece lo stesso effetto. mentre babel, hai ragione sembra fatto apposta per stupire, ma secondo me ci riesce benissimo e chi ci sa fare fa bene a mostrarlo e dimostrarlo.
sono d'accordo pure sul maggior valore della valle di elah rispetto a crash, molto meno ricercato ma più incisivo.

i risultati del distacco di inarritu da arriaga li vedremo fra nemmeno un mesetto, ma sono convinto che non saranno così pesanti com'è successo a parti inverse.


alla fine della fiera però, altman era tutt'altra cosa.
amterme63  16/01/2011 20:31:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sono contentissimo Stefano di avere avuto le stesse tue impressioni sul film. Ad eccezione però del finale. E' fin troppo accomodante e consolatorio, anche se, devo ammettere, è esteticamente e contenutisticamente qualcosa di necessario all'opera, altrimenti sarebbe stata irrimendiabilmente monca. Certo lasciare il film irrisolto sarebbe stata una scelta commercialmente disastrosa ma intellettualmente forse più onesta. A lui serviva "spronare" i suoi personaggi (e noi spettatori di conseguenza) ad agire e a non lasciare le occasioni intentante. Così doveva essere e così è stato. La realtà secondo me è molto più imperfetta e avara di occasioni. Da questo punto di vista il film è probabilmente molto più didascalico e rappresentativo di quello che tu pensi. Comunque sono posizioni accettabili e comprensibili, al di là della propria opinione personale.
Sul "dono" di George ho una mia opinione personale. Non è altro che la capacità di "sentire" l'animo delle persone. Quindi non rivela cose oggettive e/o esterne, ma riproduce idee, sensazioni, impressioni che una persona porta incosciamente dentro. Pensaci bene, Stefano. Le cose rivelate sono tutte più o meno ciò che gli altri si aspettavano o sapevano già dentro, ma non avevano il coraggio di tirare fuori (Virginia e il padre di Melanie). I morti sono la proiezione di ciò che noi immaginiamo possano essere. Anche le cose che George racconta a Markus sono tipicamente infantili. E' semplicemente ciò che Markus immagina (o spera) possa essere la vita nell'aldilà "vissuta" da Jason (assenza di gravità, gioco, divertimento) e che George recepisce e riporta con la sua "stretta di animo". Markus stesso è sotto sotto consapevole che deve fare a meno dell'ossessione del fratello, ma non ha il coraggio di ammetterlo. George lo fa per lui.
Diverso è il discorso per il protagonista di "La zona morta", dove addirittura "vede" per filo e per segno il passato e soprattutto il futuro. Insomma, il "dono" di George potrebbe essere inteso anche come qualcosa di naturale e para-razionalmente esplicabile. Si sa che il nostro cervello è pieno di zone atrofizzate e sconosciute e la capacità di entrare in connessione diretta con il conscio e l'inconscio altrui non è qualcosa di completamente impossibile o campato per aria.
jack_torrence  26/01/2011 02:56:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sono parzialmente d'accordo con te, soprattutto con l'ultima parte in cui parli delle zone sconosciute del cervello, e con quanto dici della capcità di George di "sentire l'animo delle persone".
Tuttavia con Markus si spinge un po' troppo oltre se non altro parlando della metropolitana e del cappello... Quelle sono cose che non può arrivare a "sentire" se non con la trasmissione del pensiero o perché effettivamente è in contatto con uno spirito.
La mia impressione è che, senza voler piegare troppo il film nel senso della nostra interpretazione, esso innegabilmente avalla personaggio di George la possibilità di un contatto para-normale con gli spiriti (dei vivi, quantomeno, se non dei defunti). E questo non sono certo non sia un punto debole.