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ANOTHER YEAR regia di Mike Leigh

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     6½ / 10  12/02/2011 02:42:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Esistono "casi" cinematografici davanti a cui ogni perplessità soggettiva passa in secondo piano davanti alle capacità superlative dei singoli interpreti, e credo che "Another year" sia uno di questi film. Leigh lo si conosce, il suo cinema - qualcuno dice "umanista" - sembra spesso soffermarsi sulla paura e sui rischi della folle corsa verso la modernità. E' un cinema di detti e contraddetti, di allusioni vaghe e precipitosamente accantonate, di tensioni verbali che implodono in maniera fortemente superiore al loro effettivo valore emotivo. Un cineasta che può non piacere, ma che vanta nella sua vasta filmografia almeno un paio di capolavori ("Naked" e "Segreti e bugie"). Ora, la coralità intimista e simbolica di "Another year" - straordinariamente affine al ciclo "commedie e proverbi" del compianto francese Rohmer - lievita a poco a poco fino a sfociare nel sublime epilogo, ma non mi sento per questo di esultare, come ha fatto la critica, davanti a una visione tanto contemplativa della vecchiaia, delle rinunce, dei dolori interiori di ogni singolo componente ehm personaggio del film.
Non è all'altezza di Rohmer, opps di Mike Leigh questo ritratto artificioso di dialoghi estenuanti e un pochetto indisponenti, questo rigore dove si chiude un cerchio, dove figure abbozzate o anche descritte splendidamente (v. le nevrosi alcoliste di Mary) che sembrano chiudersi nel loro mondo di insoddisfazioni senza rispondere direttamente a delle domande (su tutti, il figlio ribelle e la sua reazione di rabbia davanti alla morte della madre: perchè?).
Il film ha una delicatezza, un'intimismo che commuove, e proprio per questo promuove nuovamente Leigh come autore di grandi capacità, ma l'estetizzazione "povera" della quotidianità alla lunga annoia, salvo appunto l'exploit finale dove davvero ogni minima giostra di sguardi e sensazioni sembra toccata davvero da una sorta di autenticità (poesia) universale.
Un film da 5 o da 10, dipende dalle angolazioni.
E che, ripeto, davanti alle interpretazioni magistrali di certi attori (su tutti, Lesley Mansville e David - Harry Potter docet - Bradley) supera tutte le perplessità e qualche comprensibile sbadiglio
jack_torrence  14/02/2011 01:32:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi trovi completamente d'accordo sul riferimento a Rohmer, e aggiungerei un riferimento anche maggiore al grande (e da te molto amato) Raymond Carver. (A questo proposito, quanti racconti di Carver presentano episodi sul genere del figlio ribelle, senza fornirci alcuna spiegazione?!)

Trovo che Leigh sia un campione come pochi altri nel dissimulare, quasi mimetizzare il suo messaggio entro un film che sembra altro da ciò che è.
E' umanista, sì, però è anche parecchio feroce: questo film secondo me parla dall'inizio alla fine (senza quasi nessuna divagazione e senza nessuna indulgenza) dell'ipocrisia, della tolleranza come assenza di solidarietà, della sostanziale emarginazione dei (pretesi) amici. E in questo senso si apre ad essere - probabilmente - metafora di qualcosa di più vasto (vedi l'episodio in cui ci viene presentato il figlio della coppia dei protagonisti, inetto e impacciato sul lavoro nei cfr di due asiatici).

Sarei curioso di sapere cosa ne pensi, perché mi viene da pensare che visto in questo modo il film ti sarebbe piaciuto molto di più.
(Io l'ho visto una prima volta a giugno e solo alla seconda visione qualche giorno fa sono stato in grado di seguire il filo sotterraneo che ho provato a tirar fuori nella mia recensione).
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  14/02/2011 13:56:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non so, non avevo pensato a Carver ma ora che mi ci fai pensare... quello che ho trovato oppressivo è proprio il nucleo di persone, chiuse in se stesse, e questo mi ha talvolta annoiato. Certo se dovessi riferirmi unicamente alla sequenza finale (da 10) il mio gradimento sarebbe stato maggiore. Hai ragione, forse sulle omissioni avrei dovuto valutarlo diversamente
jack_torrence  15/02/2011 01:39:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In effetti mi chiedo anch'io se un film che alla prima visione (che dovrebbe essere unica, in genere) annoia un po' (a me pure successe, a giugno), è totalmente riuscito. Quel nucleo di persone oppressivo lo è: quando son tornato a vederlo è come se fossi preparato a non farmi fregare, a non aderire emotivamente alla coppia di protagonisti. Solo se il film lo si segue con occhi preparati a non lasciarsi inghiottire da quei personaggi, lo si gusta. Altrimenti in effetti potrebbe scaturire l'effetto opposto: del tipo "ma perché debbono piacermi persone così?" "cosa ho fatto di male per dovermi identificare in questa coppia agiata finto-bonaria middle-class così noiosa?"
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  15/02/2011 14:25:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma io mi riferivo più che altro a questo tipo di cinema di un mondo che sembra monolitico, ermetico rispetto al contesto esterno. E' questo che mi lascia perplesso, nonostante a me Leigh piaccia (cito anche Belle speranze, uno dei suoi film più sottovalutati)