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ARIZONA JUNIOR regia di Joel Coen

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kafka62     7½ / 10  11/03/2018 12:20:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Con "Arizona Junior", opera seconda a due anni di distanza dal brillante esordio di "Blood simple", i fratelli Coen (Joel regista, Ethan produttore e sceneggiatore) hanno realizzato un film straordinario, zeppo di trovate umoristiche, di citazioni cinefiliche e, soprattutto, di riferimenti ai fumetti. Del fumetto "Arizona Junior" ha anzitutto la struttura narrativa. Il film è veloce, ellittico e, pur non ripudiando del tutto il realismo e la verosimiglianza, possiede quella caratteristica tipica dei cartoons in virtù della quale le cose più eccentriche e incredibili accadono con una sorprendente naturalezza. I particolari della storia hanno poca importanza (non ci chiediamo, ad esempio, come abbiano fatto i due galeotti a evadere, o da dove venga Leonard Smalls, oppure come H. sia riuscito a penetrare nella casa di Nathan Arizona): ciò che conta è il ritmo, la fluidità dell'intreccio, come dimostra il brillante prologo, dieci minuti di veloci scenette modellate come delle stripes, che, oltre a mettere immediatamente a fuoco i personaggi, riassumono la storia di H. e Ed fino alla loro decisione di rapire un bambino per allevarlo. Parallela a questa scorrevolezza narrativa, è la stilizzazione degli ambienti e dei paesaggi. I luoghi del film sono praticamente astratti, privi di un vero spessore realistico. Gli appartamenti di H. e di Nathan Arizona sono sì descritti con cura, ma in mezzo non c'è nulla, solo il deserto, le interminabili freeways e città che sembrano di cartapesta tanto sono irreali e inconsistenti (nella lunga sequenza in cui è inseguito dalla polizia, vediamo H. attraversare senza difficoltà le case incontrate lungo la strada).
Anche i personaggi del film partecipano di questa vicinanza al mondo del fumetto. Più che esseri umani dotati di una credibilità psicologica, essi (fatta eccezione per i due protagonisti) sembrano dei cartoons in carne ed ossa, caricaturizzati fino al limite della rappresentabilità. Abbiamo così il "cacciatore di uomini" Leonard Smalls ("Lenny per gli amici. Ma io non ho amici"), una sorta di apocalittico bounty killer che semina morte e distruzione al suo passaggio e va in giro portando con sé un vero e proprio arsenale di armi ed esplosivi; i due inseparabili galeotti amici di H., infantili e pasticcioni al punto di dimenticarsi per ben due volte il "prezioso" bambino sul tetto dell'automobile; il padre dei cinque gemelli, arrogante e sicuro di sé, e nondimeno ridicolo quando la sua rabbia impotente si scontra con la burocratica ottusità delle forze dell'ordine; e altri ancora, dalla insopportabile famiglia in visita fino alle macchiette dei carcerati e dei colleghi di lavoro di H.
Su questo lavoro così profondamente calato dentro al genere, i fratelli Coen hanno impresso un marchio inconfondibile. La loro tecnica, esibita fin quasi all'eccesso, è strabiliante: steadycam, carrelli, dolly, lenti deformanti e altri stratagemmi tecnici sono usati in abbondanza, con una maestria e una padronanza tali da far sì che ogni inquadratura, grazie anche al ricorso agli angoli di ripresa e ai tagli di montaggio più originali e meno abusati, risulti alla fine un qualcosa di veramente insolito e anticonvenzionale. Numerose sono le "sequenze culto": quella, divertentissima, del rapimento, in cui i bambini sgattaiolano dappertutto, cadono giù dal letto, si nascondono nell'armadio o scappano verso le scale; quella, stupefacente dal punto di vista della realizzazione tecnica, in cui la macchina da presa, con una velocità vertiginosa, scavalca un'automobile e una fontana, si lancia su per una scala a pioli, entra nella stanza al primo piano e si arresta di fronte alla bocca spalancata di Florence Arizona; quella, parossistica, dell'inseguimento notturno, in cui i poliziotti fanno il tiro al bersaglio con il fuggitivo, i negozianti rapinati si trasformano in sadici killer e una muta di cani scatena il parapiglia in un supermercato; quella, allucinante, dell'evasione dei due galeotti, che assume i connotati di un parto mostruoso, con le due sinistre figure, infangate e urlanti, che escono fuori dal sottosuolo; e infine quella, concitatissima, della lotta con l'implacabile e invincibile Smalls, destinato ironicamente a finire vittima delle sue stesse diaboliche armi.
Sarebbe sbagliato però considerare "Arizona Junior" solo un exploit tecnico-visuale. La satira dei Coen, pur non potendo definirsi impegnata, e neppure calata nella realtà sociale come le commedie di un Billy Wilder, non è né qualunquistica né fine a se stessa. I richiami alla difficile situazione economica dell'era reaganiana non mancano ("difficile essere onesti con Reagan alla Casa Bianca" è il senso di una riflessione di H.), l'argomento delle adozioni è di scottante attualità, e se è vero che il finale (un sogno in cui H. si immagina vecchio insieme a Ed, circondato da figli e nipoti sorridenti) ha un sapore falsamente dolciastro e consolatorio, l'ultima battuta ("Io non so che posto fosse, forse era Disneyland") riporta il tono del film sui corretti binari di un acre sarcasmo.