caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

BARTON FINK regia di Joel Coen, Ethan Coen

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
scantia     8 / 10  07/12/2010 15:09:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una tappa obbligata nella vita di un autore che si affaccia al grande successo di pubblico e di critica: la riflessione sul proprio mondo artistico esteriore ed interiore che qui si risolve nel trionfo dell'ambivalenza.
Uno scrittore brillante nel campo delle rappresentazioni teatrali si trasferisce ad Hollywood per tentare l'avventura nella scrittura cinematografica, ma dover trattare argomenti estranei alla sua poetica finisce per svuotarlo di ogni ispirazione.
Mutatis mutandis, i Coen, 2 autori, hanno vissuto il passaggio dal cinema indipendente alla logica delle grandi major, evidentemente non senza traumi, pur tuttavia sarebbe un errore considerare Barton Fink semplicemente come una sorta di trasposizione autobiografica.
Certamente lo spunto iniziale è un pretesto che serve ai Coen per fornirci una terrificante visione della macchina Hollywoodiana sviluppata su 2 diversi piani rappresentativi. In parte una satira facilmente individuabile, fatta di produttori nevrotici o ai limiti della schizofrenia (quasi surreale la figura del produttore/colonnello dell'esercito), scrittori privi di ispirazione e stimolo spremuti dalla necessità di una storia superficiale e facilmente vendibile (e siamo solo negli anni 40!) umanità varia troppo mediocre per camminare con le proprie gambe nell'ambiente che si riduce a lacchè o segretaria tuttofare, amante, ghost-writer.
Con questa si sviluppa parallelamente la rappresentazione allegorica di un albergo-inferno popolato da tre personaggi, un custode che sbuca da un sotterraneo non ben identificato, un vecchio ascensorista che per sua stessa ammissione non ha mai letto la bibbia e il co-protagonista per il quale sarebbe eccessivo scomodare espliciti richiami faustiani, ma l'odore di zolfo è penetrante!
Diavoli-custodi di gironi popolati da personaggi che non vedremo mai ma di cui intuiamo la presenza dai rumori e dalle scarpe fuori la porta. Lasciamo libero sfogo alla fantasia allegorica generata nello spettatore: anime dannate incapaci in vita di adeguarsi alla logica di Hollywood?
Tutti i piani della rappresentazione si confondono nel finale, generano spaesamento, i singoli elementi non sono più immediatamente riconducibili agli indizi iniziali, ma non è nello svolgimento coerente della storia il vero interesse dei Coen.
Probabilmente viene gettata più carne al fuoco di quanta se ne possa digerire, spunti di riflessione appena accennati, magari solo per sviare e illudere lo spettatore sovraeccitato dall'abbondanza di indizi che si convince di vedere più di quanto non esista (meccanismo del rapporto film-fruitore in seguito trasposto dai Coen nella sceneggiatura della finzione scenica: pensiamo al Lebowsky che preso dall'intrigo della sua vicenda colora il taccuino su cui Ben Gazzara ha appena segnato qualcosa, convinto che il calco riveli chissà quale informazione…con l'esilerante conseguenza!) e allora assecondiamo il gioco dei Coen e spingiamoci alla ricerca di ulteriori ambivalenze più o meno esistenti.
Se è vero che si tratta di una riflessione degli autori sull'ambiente ma anche su se stessi non è azzardato leggere nello stesso protagonista un doppio ruolo, in parte vittima sacrificale, strumento di critica all'ambiente hollywoodiano e in parte rappresentazione ironica dell'autore radical-chic, interessato solo alle tematiche sociali, sempre teso tra la denigrazione di un sistema mercificato, superficiale e la pulsione inconfessabile di farne parte.
Forse allora lo scopo finale è anche ridicolizzare tutte le sovrastrutture di significanti di cui il cinema colto, quello non compromesso col sistema, si infarcisce per veicolare significati: dopo due ore di film il giudizio finale sul mondo del cinema è espresso in poche semplici ed efficaci parole dalla ragazza sulla spiaggia, come dire: e ci voleva tanto!
p.s. resta un mistero la catalogazione del film come "commedia"